ANCHE I RICCHI PIANGONO: IL CASO FERRETTI YACHT.

Anche i ricchi piangono. Storie ordinarie di finanza straordinaria: il caso Ferretti, quella dei megayacht per super ricchi. Per colpa della crisi ha visto sfumare la quotazione a Piazza Affari a novembre: ora a gennaio non ha soldi per rimborsare le banche.

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In attesa della pubblicazione delle trimestrali e che il mercato ci fornisca maggiori lumi e qualche segnale (speriamo di acquisto!), questa settimana vi raccontiamo una storia. Che non leggerete da molte parti raccontata così e riguarda una società quotata a Piazza Affari che a un certo punto aveva fatto le valigie, con un’opa (a un prezzo giusto occorre ammettere) e un delisting salvo qualche anno dopo decidere di ritornarsi a quotare. A prezzi naturalmente maggiorati, ca va sans dire.

Questa società è la Ferretti Group, un simbolo del made in Italy, tra i leader al mondo nella progettazione e costruzione di motor yacht di lusso e di imbarcazioni sportive da 7 a 80 metri di lunghezza. Un impero nato a Forlì e che si è esteso ad altri marchi fra i più esclusivi della nautica mondiale: Ferretti Yachts, Pershing, Riva, Itama, Bertram, Apreamare, Mochi Craft, CRN e Custom Line. Un’azienda fino a qualche mese con il vento in poppa (come ordini, vendite e utili) e che vanta nel suo portafoglio clienti che mediamente spendono 1,5 milioni di euro per regalarsi il gusto di cavalcare le onde e avere il vento fra i capelli. Un libro clienti dove a fianco a celebrità come Dolce & Gabbana, Brigitte Bardot, Jennifer Lopez, Valentino Rossi, Piersilvio Berlusconi, Nicolas Cage e la casa reale di Spagna compaiono anche tanti miliardari ‘anonimi’ con la stessa voglia di ‘farsi la barca’. Ma non una qualsiasi.

Entro la fine dell’anno scorso era stata già programmata la quotazione in Borsa e da mesi e mesi i giornali, soprattutto finanziari, ne raccontavano le incredibili opportunità, il mercato smisurato, le possibilità di espansione nei mari del Sud, del Medio Oriente, dei nuovi ricchi cinesi e bengalesi. Si parlava già di una valutazione di borsa di circa 2,5-3 miliardi di euro. Un vero affare per tutti a leggere i bollettini degli esperti e dei soliti gazzettieri.

Ci avrebbero guadagnato tutti (così dicevano in gran massa). I risparmiatori che sarebbero diventati soci di un’azienda orgoglio del ‘made in Italy’ dalle incredibili prospettive di crescita: ne avrebbero beneficiato gli azionista principali di Ferretti (i fondi di private equity Candover e Permira) che pur di fare questo ‘regalo’ al mercato avrebbe rinunciato a una quota del controllo; ci avrebbe guadagnato il ‘mercato’ perché la Borsa Italiana avrebbe potuto incastonare fra i suoi gioielli un’altra azienda di grande lustro.

Tutto era pronto per il debutto a Piazza Affari. Era stato pure preparato un nuovo sito web per l’evento con tanto di comunicato stampa del 9 ottobre 2008 dove si rimarcava la forte valorizzazione del brand che l’imminente quotazione avrebbe ulteriormente rilanciato anche grazie al ‘rifacimento totale del portale basato su un concept grafico di grande eleganza della Leo Burnett, perfettamente in linea con la classe e il design del gruppo Ferretti’. Tutto era pronto e i motori accesi. Già a giugno il gruppo Ferretti aveva depositato in Consob e Borsa Italiana la documentazione per la quotazione con l’advisoring di Eidos Partners e Mediobanca con Merrill Lynch International in qualità di Joint Global Coordinator dell’Offerta Globale e poi Citigroup e UBS pronte a vendere le azioni in tutto il pianeta.

Insomma, proprio una cosa fatta bene con il top della finanza mondiale impegnata a riportare gli scafi di lusso dall’acqua al mare. Nulla era stato tralasciato per quello che doveva essere un vero collocamento di lusso. Decine e decine di articoli su tutti i giornali e siti con l’ufficio stampa che lavorava alacremente per ‘vendere’ questa bella storia.

Persino un libro biografico (a pagamento, supponiamo) stampato con il giusto tempismo nel luglio 2008 ed edito da ‘Il Sole 24 Ore’ intitolato ‘La grande sfida’ dove il presidente e fondatore, Norberto Ferretti, raccontava la sua bellissima storia d’impresa al giornalista Mauro Castelli. Passioni, retroscena e fasi decisive del cammino di Norberto Ferretti, ‘una sfida iniziata in un piccolo cantiere a Cattolica e marcata da continue scelte strategiche e successi creati con lungimiranza’.

Tutto, insomma, era pronto per il grande collocamento e le cose erano state veramente fatte bene. Ma si sa che il Diavolo fa le pentole, ma non i coperchi.

Arriva in autunno la crisi ancora più forte dei mercati, il fallimento della Lehman Brothers, la fuga dalle Borse, il credit crunch, il crollo dell’economia in quasi tutti i settori. Compresa la nautica. Manca solo l’invasione biblica delle cavallette. Risultato: l’approdo in Borsa viene prorogato di settimana in settimana in attesa che le condizioni dei mercati lo permettano. Quasi una beffa per un’azienda come la Ferretti abituata a tutti i tipi di onde. Cercare di voler mettere in acqua e varare una nave e non poterlo farlo perché il mare è troppo mosso.

Si arriva così ai giorni nostri. Dove si apprende (in articoli ora striminziti rispetto a quelli di qualche mese fa) che la Ferretti se la passa male, maluccio. Saltata la quotazione a Piazza Affari, crollati gli ordini anche da parte dei Paperoni (che ci avevano detto non soffrono mai la crisi perché il lusso è lusso) più o meno Vip, viene fuori che la società non ha soldi per pagare gli interessi ai debitori.

Bambole, non c’è una lira. Anzi un euro. Lo spiega questa settimana anche il Financial Times, registrando il fatto che venerdì scorso le banche creditrici che si attendevano il regolare pagamento degli interessi sono rimaste a bocca asciutta. Colpa della carenza di liquidità, delle difficoltà di accesso al credito bancario, dal calo degli ordini e dalle cancellazioni ricevute oltre ai ritardi nei pagamento dei debitori del lusso. Ma soprattutto tutta colpa di un debito veramente elevato già da gestire che appare improvvisamente sulla rotta di Ferretti come un iceberg: una miliardata di euro e oltre di debiti. Debito che la Ferretti si porta appresso da qualche tempo. Effettuare il delisting della società da Piazza Affari nel 2003 ha incrementato certo la leva finanziaria come poi tutte le successive acquisizioni portate a termine per diventare sempre più grandi e leader. E fatale è stato soprattutto l’ultimo giro di valzer dei private equity. Ora la crisi presenta il conto e non ci sono purtroppo (noi diremmo per fortuna) i quattrini dei risparmiatori a tenere in piedi lo stato patrimoniale della società vista la sfumata quotazione.

Nel giro di pochi mesi si è passati così dal tentativo di Ipo alla ristrutturazione del debito (si parla ora di Rothschild come advisor) rinegoziando i prestiti con le banche (una sessantina) con in prima fila la Royal Bank of Scotland fra i creditori. Secondo quanto comunicato dallo stesso azionista di controllo, il gruppo di private equity Candover, il mancato pagamento di una rata degli interessi sul prestito mezzanino (parte della leva costruita nel buyout nel 2007 da 1,7 miliardi di euro con 1,215 miliardi di prestiti) è solo un ‘default tecnico’ da parte di Ferretti. Ora ‘inizia il dialogo con le banche creditrici’ per rinegoziare il debito.

A forza di caricare di debiti su debiti la società i gentlemen del private equity e del delisting, i nuovi adoratori del Dio Roe, hanno fatto affondare la barca. E sperano ora che la ciambella di salvataggio arrivi dagli istituti finanziari creditori che concedano un robusto taglio alle rate. Se fossimo in Norberto Ferretti, presidente e fondatore della società che qualche anno fa ha accolto a braccia aperte (forse troppo) i maghi della finanza, qualche domanda ce la faremmo. Una situazione tesa dal punto di vista societario quella di Ferretti testimoniata anche dal fatto che nelle scorse settimane l’amministratore delegato, Vincenzo Cannatelli, si è dimesso visto che era stato chiamato a Forlì per seguire lo sbarco trionfale in Borsa, non certo per evitarne il collasso. Le acque sono tempestose per tutti. Non certo solo per Ferretti. Il gruppo Azimut-Benetti nelle scorse settimane ha dato le ferie lunghe ai propri dipendenti per quanto conta di risalire la china: cassa integrazione anche alla Aicon per la prima volta nella sua storia per 95 lavoratori per far fronte al rallentamento della produzione dovuto alla crisi del settore nautico. Un altro bel ‘campione’ questa società messinese. Quotata nell’aprile 2007 e presentata come un altro ‘gioiello’ del made in Italy, è in discesa ai prezzi attuali del 92,7%. Da 4,1 a 0,3 euro in 21 mesi. Come dire, una discesa di oltre il 4,4% al mese.

In queste settimane intanto la stessa Ferretti ha annunciato a titolo cautelativo la cassa integrazione per numerose maestranze, compresa quelli della controllata Pershing. Per i prossimi 15 giorni, tutti quanti i 270 lavoratori dello stabilimento, che costruisce yacht, staranno a casa. Tutti i lavoratori: dai colletti bianchi a quelli blu. Non si salva nessuno. Poi le porte del cantiere riapriranno nella seconda metà del mese di febbraio. Quindi si andrà avanti a rotazione, fino alla metà di maggio e cioè per tredici settimane. ‘E’ una situazione transitoria – hanno detto i rappresentanti della Pershing – in attesa che il mercato dia qualche segnale di risveglio. Nulla di allarmante’. Lo speriamo tutti.

Salvatore Gaziano

Responsabile Strategie di Investimento di SoldiExpert SCF

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