Lapidaria le motivazioni con cui i giudici della seconda sezione penale di Milano hanno condannato a sei anni di reclusione e a pagare una multa di 2,5 milioni per i reati di aggiotaggio e false comunicazioni sociali gli ex vertici di MPS, Alessandro Profumo e Fabrizio Viola.
Secondo i giudici Viola e Profumo hanno svelato una «spiccata capacità a delinquere» e hanno agito per «vedere accresciuto (illegittimamente) il proprio personale prestigio, quali fautori della rinascita della banca».
La banca è riuscita a raccogliere 8 miliardi di capitale grazie a una situazione dei propri conti che non appariva in tutta la sua drammaticità.
Viola e Profumo decidendo di valorizzare a saldi aperti la contabilizzazione dei derivati Alexandria e Santorini fino alla prima semestrale 2015 hanno dato agli investitori secondo i giudici una falsa rappresentazione della situazione della banca, coprendo perdite e facendo apparire in bilancio riserve «inesistenti».

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I giudici non mancano di riservare aspre critiche anche all’Organismo di Vigilanza, che «pur munito di penetranti poteri di iniziativa e controllo, ha sostanzialmente omesso i dovuti accertamenti». Una Vigilanza sostanzialmente “inerte”.
Gli imputati ricorreranno in appello, ma come avevamo già avuto modo di ricordare la condanna dello scorso 20 ottobre dà forza alle ragioni dei vari azionisti che a più riprese hanno sottoscritto i vai aumenti di capitale facendo affidamento su bilanci che secondo i giudici erano falsati. Sulla banca pesano 10 miliardi di cause legali ovvero la mina contenziosi.
Fra questi fra i più rilevanti è quello aperto fra il Monte dei Paschi di Siena e la Fondazione Mps, che ha chiesto alla banca nel complesso 3,8 miliardi di euro.
L’ennesima tegola per il contribuente italiano già chiamato in causa più volte per salvare l’istituto bancario più vecchio di Italia e che potrebbe presentargli un ulteriore salatissimo conto che fonti giornalistiche stimano in altri 6 miliardi.