La teoria economica ha sempre considerato il settore immobiliare e le Borse come asset non correlati tra loro: la casa come bene rifugio quando i mercati azionari crollano.
Oggi per un curioso paradosso assistiamo allo scenario opposto: le Borse e i mercati scendono anche per colpa del mattone. La Borsa spagnola da inizio anno perde il 20,6% da inizio anno. Tutta colpa della bolla immobiliare finanziata a piene mani dalle banche iberiche.
Per dare un’idea delle dimensioni raggiunte dal fenomeno basta vedere un dato: l’esposizione degli istituti di credito verso il settore immobiliare vale oltre il 30% del Pil ovvero 330 miliardi di euro. Il conto lo stanno pagando come al solito i contribuenti visto che la decisione del governo spagnolo di nazionalizzare Bankia non farà altro che aumentare il debito pubblico iberico che fortunatamente per loro è solo l’80% del Pil.
Da noi le cose vanno decisamente meglio grazie al valore delle case che per ora tiene ma se dovesse decurtarsi pesantemente le conseguenze per le nostre banche non sarebbero di poco conto. Dalle statistiche pubblicate da Banca d’Italia a fronte di 1.509 miliardi di finanziamenti a imprese e famiglie, i mutui sono il 55% dei crediti erogati ovvero 831 miliardi ma quelli supportati da garanzie reali sono solo 524 miliardi. Il problema è che nel frattempo, ovvero rispetto a quando i mutui sono stati erogati, il valore delle case è sceso anche del 20% reale (e secondo alcuni osservatori scenderà ancora) e le banche vedranno quindi ridursi il valore degli immobili posti a garanzia dei mutui erogati a imprese e famiglie.
La crisi economica in cui versa il paese costituisce un motivo di preoccupazione ulteriore e la memoria va alla crisi del 2007 causata dai mutui subprime americani: finché l’impresa continua a pagare le rate del mutuo acceso per l’acquisto del capannone e la famiglia quelle per l’acquisto dell’abitazione tutto bene, in quanto la banca considera il credito in bonis anche se il valore dell’immobile scende rispetto alla perizia condotta per stimare la garanzia ipotecaria.
Ma cosa succede se i mutuatari smettono di pagare la rata? Che il credito deve essere classificato come “sofferenza” e le banche italiane di sofferenze ne hanno già in abbondanza. Quando ancora oggi qualcuno afferma che le banche italiane sono sottovalutate forse non considera quanto si è deteriorata la qualità del loro attivo. Questo per dare una spiegazione sul continuo ribasso in Borsa del settore e che proprio nel settore bancario ha da alcuni anni il suo epicentro.
Se su banche di grandi dimensioni il rischio “immobiliare” è naturalmente ripartito su più mutuatari riducendo la probabilità che molti di loro siano insolventi, nel caso delle banche di piccole dimensioni il finanziamento a un immobiliarista che diventa insolvente può risultare mortale: è il caso della Banca Tercas, commissariata il 4 maggio scorso dalla Banca D’Italia. L’istituto attivo in Abruzzo non era di dimensioni proprio minime: 165 sportelli oltre 1000 dipendenti e un attivo di 5,3 miliardi. I finanziamenti alla Di.Ma Costruzioni, il gruppo dell’immobiliarista romano Raffaele Di Mario, hanno creato un buco da circa 800 milioni. Ecco cosa si rischia a dare troppo credito a qualcuno. Il problema del mattone affligge comunque anche i maggiori istituti di credito del Paese. E se Intesa Sanpaolo è riuscita a salvare dal fallimento la società Risanamento (ex gruppo Zunino), Unicredit e altre banche stanno tuttora lottando per evitare il fallimento delle società Imco e Sinergia dei Ligresti, padre padrone del gruppo Fondiaria Sai.
In questo scenario di ombre che gravano sulla ripresa anche borsistica delle banche dello stivale vi è un dato però confortante: tornano ad affluire i depositi sulle banche italiane. Secondo i dati di Bankitalia la raccolta è aumentata del 2,4% a marzo dopo il +0,5% di febbraio che era il primo segno positivo dopo quattro mesi di flessione. Un dato estremamente importante per l’Italia dove il rapporto tra impieghi e depositi è vicino al 180%: un dato molto più elevato rispetto a quasi tutte le nazioni europee (eccetto il Nord Europa) agli Usa e al Giappone. L’aumento della raccolta è importante perché riduce questo moltiplicatore.