CARO MATTEO RENZI, AUMENTARE LE TASSE SULLE RENDITE FINANZIARIE È UNA BOIATA PAZZESCA

Lettera aperta a Matteo Renzi, Davide Serra, Francesco Boccia, Pippo, Pluto e Paperino da parte di chi ritiene che la tassazione delle rendite finanziarie sia già un bordello, sia iniqua e pensa che allo stato attuale chi propone “per fare una cosa di sinistra” di alzare il carico farebbe forse bene ad approfondire l’argomento invece che ragionare solo con slogan che lasciano il tempo che trovano e stanno già distruggendo questo Paese. E dove i più furbi o meno fessi guarda caso spostano sempre più la residenza fiscale personale o delle proprie imprese fuori dall’Italia.

MoneyReport, il blog di SoldiExpert SCF

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Giovedì 13 febbraio alle ore 15.00 presso la Camera dei Deputati (Sala Regina) alcuni dei migliori cervelli e manovratori di questo Paese in tema di finanza pubblica si dovevano incontrare (abbiamo appreso da poco, una conferenza rinviata al 3 marzo a causa di numerosi impegni concomitanti di alcuni organizzatoriin un incontro aperto al pubblico per parlare di Tobin Tax e più in generale di tassazione delle rendite finanziarie in collaborazione con la commissione Bilancio, Tesoro e Programmazione.

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Un incontro (vedi sotto i partecipanti) dove c’è tutta la “meglio gioventù” di questo Paese, dei partiti (di maggioranza ma anche di opposizione) e delle istituzioni e che vedrà trarre le conclusioni a Francesco Boccia, presidente della commissione Bilancio, Tesoro e Programmazione, fra le “teste pensanti” dell’attuale Tobin Tax e fra i guru del Partito Democratico e fra i maggiori sostenitori della “necessità di colpire le rendite finanziarie”.

E che ha trovato anche nel nuovo segretario del PD, Matteo Renzi, un sostenitore di questa linea nel nuovo ventilato “Job Act” che da alcuni mesi è in dirittura d’arrivo e che dovrebbe trattare, come si lascia trapelare, anche una riforma della tassazione delle rendite finanziarie oltre che probabilmente il grado di curvatura delle banane (al di fuori dei negozi Eataly naturalmente). E pazienza se nelle dichiarazioni pubbliche di Matteo Renzi e degli esponenti del suo partito si confondono la tassazione delle rendite con la tassazione delle transazioni finanziarie.

Quisquilie, bazzecole, pinzillacchere, sciocchezzuole!” direbbe il principe De Curtis seppure quando si parla di economia e finanza chi lo fa non sarebbe male che capisse seriamente di cosa parla e non l’abbia appreso solo sui libri e ai convegni di partito o abbia usato come criterio base l’applausometro a qualche talk show amico o a qualche comizio di fedelissimi.

L’opinione che si vuol far passare è che in Italia la tassazione delle rendite finanziarie è bassa ed è troppo bassa rispetto a quella sul lavoro. Se la tassazione sul lavoro è quasi del 50% e quella sulle rendite finanziarie è del 20% il ragionamento base è che c’è sperequazione e bisogna colpire di più le rendite finanziarie. Premesso che la prima follia è la tassazione del 50% sul lavoro, chi sostiene simili tesi mente sapendo di mentire oppure denota un’ignoranza finanziaria veramente preoccupante.

La tassazione effettiva sulle rendite finanziarie non è, infatti, del 12,5% sui titoli di Stato e del 20% su tutti gli altri titoli ma ben superiore come qualsiasi risparmiatore sa bene pur non frequentando la Leopolda o la Cgil sezione “Cosacchi del Don”. Il sistema di tassazione è, infatti, cervellotico e iniquo e non consente una compensazione totale fra guadagni e perdite fra i differenti strumenti e i diversi tipi di reddito.

Qualche esempio? Dopo 4 anni chi ha maturato delle minusvalenze (perché esistono anche quelle per gli investitori si dimentica di dire) non può recuperarle: inoltre se per esempio le perdite sono fatte con strumenti del risparmio gestito (tipo fondi d’investimento o Etf dove qui addirittura la tassazione è stata fino a oggi più delirante ancora) e poi si vogliono recuperare, questo è possibile solo a determinate condizioni e con altri strumenti. Se un risparmiatore compra un titolo di una società che fallisce (che magari gli ha rifilato la propria banca) non può nemmeno considerare questa come perdita: quel titolo continuerà a comparirgli nel dossier per tutta la vita a ricordargli quando è doppiamente fesso, cornuto e mazziato.

Se su un titolo si ricevono delle cedole o dei dividendi questi non si possono mica compensare con le perdite perché sono considerati “redditi diversi”. Diversi da che? Sui dividendi percepiti è stata tolta la possibilità di usufruire del credito d’imposta ovvero un risparmiatore che ha un reddito di 20.000 euro e un altro che ce l’ha 10 volte più alto pagano la stessa aliquota. Una volta chi aveva meno poteva usufruire di un credito d’imposta ma poi lo Stato italiano ha tolto questa norma: c’est plus facile e si incassa di più, soprattutto. Naturalmente poi lo stesso Stato italiano è l’unico a concedere un trattamento agevolato sui titoli di Stato, solo il 12,5%. Perché?

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Dicono che bisogna portare la tassazione dal 20% al 30% sulle rendite finanziarie. Peccato che siamo già oltre nella realtà se si passa dalla teoria alla realtà…

Chi ha scritto la normativa fino a oggi (da cani anzi da dogs caro Matteo) ha creato un sistema iniquo come è tipico di un sistema feudale dove gli interessi dei signorotti e dei potentati viene sopra quello della gleba. E dove i principi possono naturalmente, perché ricchi e ben introdotti, pagare le tasse che desiderano grazie alla “pianificazione fiscale”.

Nella realtà la tassazione effettiva è quindi in molti casi ben superiore al 20% e supera in molti casi perfino il 30% perché lo Stato di fatto si precipita a tassare i guadagni dei piccoli risparmiatori mentre sulle perdite ha concepito diversi sistemi ingegnosi per evitarne la compensazione comportandosi sostanzialmente come un baro che trucca le carte come meglio gli conviene.
Oltre a questa “disarmonia” (guardate come parlo anch’io da politico navigato) lo Stato negli ultimi anni ha aggiunto altre gabelle per rendere il carico ancora superiore con l’introduzione prima di una mini patrimoniale sui conti correnti (attualmente lo 0,2% annuo perché “ce lo chiede l’Europa”) e l’introduzione di una sgangherata Tobin Tax che grava paradossalmente più sugli investitori di lungo periodo che sugli speculatori veri (se compri e vendi in giornata non viene infatti applicata mentre se compri una blue chip da mantenere in portafoglio e fai il cassettista sì) e che ha portato nelle casse dello Stato di fatto molto meno di quello che era stato stimato (e a ben guardare creando un danno finanziario al Paese), tassando le transazioni finanziarie.

 

Nuovi Padri della Patria: il patriota Davide Serra esule a Londra e la sua ricetta di alzare di almeno il 10% assoluto la tassazione delle rendite finanziarie…

 

I sostenitori della “necessità di tassare più le rendite finanziarie” se non hanno capito di cosa stiamo parlando naturalmente possono rivolgersi a qualsiasi risparmiatore per maggiori dettagli e  non solo a Davide Serra, stimato gestore di hedge fund di base con i suoi fondi fra Londra, Irlanda e Cayman Islands e che aspettiamo a braccia aperte che sposti la sede fiscale delle sue attività in Italia il giorno dopo che la sua “battaglia” da spin doctor dentro al Pd di Matteo Renzi trionfi. E’ lui infatti leggiamo fra i massimi ideologi della necessità di portare dal 20% al 30% la tassazione delle rendite finanziarie in Italia per “fare una cosa di sinistra”: cosa di cui potremmo essere anche d’accordo se non fosse che siamo già oltre il 30% per la maggior parte dei risparmiatori (soprattutto se parliamo non dei Bot People) se parliamo di pratica e non di teoria.

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Davide Serra, fondatore di Algebris Investments e “ideologo” di Matteo Renzi in materia di rendite finanziarie

 

Peraltro Davide Serra di Algebris è uno dei più bravi gestori italiani nel mondo (e non è quindi certo un cretino) e dovrebbe conoscere bene sicuramente il sistema fiscale inglese dove vive e opera e le regole chiare e semplici su cui il sistema è fondato che non ci risultano così cervellotiche e inique per molte categorie di risparmiatori. E dove peraltro la concorrenza è molto più “fair” di quella che esiste in Italia dove le banche e le reti di gestione fanno ancora il bello e il cattivo tempo con un sistema fondato quasi totalmente sulle retrocessioni ai distributori, sull’opacità e sulla vendita della fuffa.

 

E siccome Serra possiede idee così chiare e un’esperienza (anche fiscale) così avanzata rispetto a noi miseri italioti ci piacerebbe non solo che spostasse qui in Italia tutte le sue attività ma venisse anche a dirigere l’Agenzia delle Entrate ed Equitalia: sarebbe sicuramente la persona giusta al posto giusto e questo sì sarebbe un vero Jobs Act! Ne saremmo tutti rassicurati! E magari visto che a Londra è arrivata da poco la coppia Marchionne/Elkann (curioso no?) a montare il quartier generale della FCA un ruolo anche per loro di superconsulenti nel dettare le linee fiscali dell’Italia sarebbe utile, no?

 

Peraltro sostiene qualcuno (e con qualche ragione) che a forza di applicare  tasse per rilanciare il Paese stiamo vedendo anche negli ultimi dati macroeconomici (al fanalino di coda nell’Unione Europea) il risultato di questi interventi che agiscono soprattutto sulle entrate. A forza di riempire la schiena dell’asino di pesi questo non cammina più.

Davide Serra che ha 4 figli magari avrà raccontato ai suoi bimbi quando li mette a letto qualche favola (salvo che non gli reciti gli Isin dei titoli). E sicuramente conoscerà quella  favola che racconta di un contadino che riempiva a dismisura le gerle sulla schiena del suo asino con pezzi di legna.
Quando gli dissero: “Guarda che l’asino non ce la fa più!”, lui continuando a metter legna, rispondeva: “Ma sono solo rametti piccoli piccoli…”.
Peccato che a un tratto, sotto il peso l’asino stramazzò a terra e morì.
In economia per esprimere lo stesso concetto (il mitico Serra si è laureato con 110 e lode all’Università Luigi Bocconi e magari su questo terreno è più avvezzo del mondo delle fiabe) si parla  della Curva di Laffer. Che non è curvatura della schiena dell’asino ma della bizzarra teoria di un economista americano dove si mette in evidenza come all’aumentare delle aliquote (da un certo punto in poi) diminuisce il gettito. Curioso, no? E sembra stranamente quello che sta accadendo da qualche anno in Italia.

Un’ultima considerazione magari banale ma che mi piacerebbe far pervenire ai cervelloni della Camera dei Deputati che si riuniranno il 13 febbraio.

Cosa è  il risparmio?

Semplificando più di qualcuno lo spiega come l’atto di rinunciare al consumo presente di un bene per farne uso in un tempo futuro. E chi lo investe peraltro come ben sa Serra si espone anche a diversi tipi di rischio.

Ma da dove arrivano i soldi del risparmio? Questo “sterco del diavolo” che viene utilizzato per investire invece che comprare salamelle alle Feste dell’Unità o effettuare donazioni alle Fondazioni dei Partiti politici dove si origina? Si raccolgono sugli alberi come insegnano il Gatto e la Volpe dal nulla? Se è così e i soldi sono frutto di magheggi o giunti al possessore in maniera discutibile, non meritata o illegittima convengo che la tassazione deve essere perfino dolorosa e pure un po’ insensata.

Ma non tutti i risparmi degli italiani sono frutto di rapine. Almeno credo seppure molti onorevoli e senatori fra i colleghi di partito (e non) possono anche pensarlo legittimamente se quello è l’unico mondo che frequentano.

Eppure c’era perfino un tempo in cui nella Costituzione Italiana veniva scritto che “la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito. Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese”.

E’ stata modificata la Costituzione? I risparmi che si vogliono tassare ora sostanzialmente al 40% almeno non sono frutto di soldi di cui la maggior parte dei cittadini ha già pagato oltre il 50% come imposizione sul proprio reddito?

“Tassare il patrimonio è tassare il reddito due volte»  diceva un certo Luigi Einaudi che ricordava già nel 1946 come “semplificare il groviglio delle imposte sul reddito è la condizione essenziale affinché gli accertamenti cessino di essere un inganno, anzi una farsa, affinché i contribuenti siano onesti, fa d’uopo anzitutto sia onesto lo Stato … Oggi, la frode è provocata dalla legge”.

Quasi 68 anni da quelle parole sembrano passati invano.

Gli amici che si riuniranno alla Sala Regina approfittino di questo utile confronto e come si dice a Firenze cerchino magari di fare le cose a modino.

Si fa presto a dire aumentiamo la tassazione… Ma sarebbe bene considerarne gli effetti (e non solo quelli demagogici ed elettorali) e correggere  tutte le attuali storture di un sistema fiscale che finora è frutto di sedimentazioni, mostruosità e iniquità successive. Se poi per il bene della patria (quella italiana, non inglese) sarà necessario agire sul fronte delle rendite finanziarie ok ma rendere la materia meno un inferno non sarebbe male, riparando da subito diverse storture come il trattamento estremamente privilegiato per chi possiede i titoli di Stato e  quello che può diventare complicatissimo e penalizzante che tocca invece a chi vuole investire in altri strumenti finanziari.

“Conoscere per deliberare” ammoniva in anni lontani, e non solo nel tempo, il solito Luigi Einaudi.

E peraltro la pessima figura rimediata sul gettito prodotto dalla Tobin Tax all’italiana dove la montagna ha provocato un topolino (vedi qui) dovrebbe per un minimo di onestà intellettuale indurre gli amici del “Partito delle Tasse Salvifiche” a fare un minimo di autocritica e cercare di capire con meno ideologia e più pragmatismo la materia.

Nessuno schieramento politico in questi anni ha dimostrato di mostrare di capirne granchè di tassazione sui capital gain e/o voler operare con rispetto verso i contribuenti o vera giustizia fiscale. Ed è a vedere il bicchiere mezzo pieno è già questa una bella base di partenza e confronto visto che nessuno potrà salire sul palco e fare lo splendido.

Spero in conclusione che sia quindi comune l’ansia di un così nobile consesso di cercare di fare finalmente meglio sul tema; non il contrario.


Buon lavoro!

 

Sala della Regina, Camera dei Deputati 13 febbraio 2013,ore 15-18.30 (adesso rinviata al 3 marzo)

 

ore 15-16.45 Sessione 1:

“Tobin tax italiana: caratteristiche e limiti. Un bilancio della norma in vigore” Introduce Marco Causi, capogruppo PD in commissione Finanze Confronto con: Vieri Ceriani , consigliere del ministro dell’Economia e delle Finanze Fabrizia Lapecorella, Capo Dipartimento Finanze MEF Giovanni Sabatini,  Direttore generale ABI Paolo Sestito, Capo servizio studi strutturali Bankitalia RaffaeleJerusalmi, Amministratore delegato Borsa Italiana LeonardoBecchetti, Professore di Economia Politica Roma-Tor Vergata Alessandro Valeri, esperto per Intergruppo parlamentare finanza sostenibile

ore 17-18.30 Sessione 2:

“Tobin tax italiana: le modifiche proposte nella Legge di Stabilità” Introduce Luigi Bobba, coordinatore Intergruppo parlamentare finanza sostenibile Confronto con: Pier Paolo Baretta, Sottosegretario MEF Giancarlo Giorgetti, Lega Giulio Marcon, Sel Dore Misuraca, Ncd Rocco Palese, FI Andrea Romano, SC Girgis Giorgio Sorial, M5S Bruno Tabacci, CD Filippo Taddei, responsabile economico PD Conclude: Francesco Boccia, presidente della commissione Bilancio, Tesoro e Programmazione.     L’iniziativa è promossa in collaborazione tra la commissione Bilancio, Tesoro e Programmazione della Camera dei Deputati e l’Intergruppo parlamentare per la finanza sostenibile

Salvatore Gaziano

Responsabile Strategie di Investimento di SoldiExpert SCF

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