Fino a qualche tempo fa l’ufficio studi di Mediobanca elaborava e pubblicava annualmente dal 1992 un’indagine sul risparmio gestito commissionata allora da Vincenzo Maranghi e realizzata da Fulvio Coltorti, ex direttore centrale di Mediobanca e responsabile dell’ufficio studi e amministratore delegato della società controllata da Mediobanca Ricerche e Studi S.p.A.
Questa indagine non viene più realizzata da alcuni anni anche perché tanti grattacapi aveva procurato, visto che i gestori dei fondi comuni di investimento mal digerivano quell’implacabile confronto annuale che dimostrava con i numeri come l’industria del risparmio gestito avesse qualche problema nel creare valore non solo per gli emittenti e collocatori, ma anche per i risparmiatori.
fondi e risparmio gestito: Mediobanca accusa
E a inizio anno Fulvio Coltorti ha ricordato come nacque quell’indagine e l’ostilità che provocava. La stessa sensazione di gelido inverno l’ho provata settimana scorsa quando anche noi di SoldiExpert nel nostro piccolo abbiamo ripreso una indagine dell’Ufficio Studi di Mediobanca riguardante proprio i fondi comuni di investimento.
In particolare il report che si focalizzava sui costi dei fondi delle principali reti e banche italiane quotate (Azimut, Fineco, Banca Generali, Anima, Banca Mediolanum).

Lo studio che abbiamo commentato, realizzato dall’ufficio studi di Mediobanca Securities (la divisione di brokeraggio azionario del gruppo di piazzetta Cuccia) aveva come obiettivo non quello di analizzare l’industria del risparmio gestito come il vecchio rapporto, ma capire quanto fosse “sostenibile” il modello portato avanti dalle principali società quotate italiane nel risparmio in termini di margini. Per eterogenesi dei fini le conclusioni a cui è arrivato questo rapporto hanno coinciso con quanto con la sua indagine annuale faceva emergere Fulvio Coltorti.
prodotti di risparmio gestito
Mi ha particolarmente impressionato leggere una testimonianza di un addetto ai lavori che ha confessato amaramente: “io sono dipendente in una filiale di banca. Qui è uno schifo perché si lavora con budget mensili su prodotti finanziari (sia assicurativi che risparmio gestito) pressanti e opprimenti. Ma non solo. La follia totale è che si sono inventati il servizio di consulenza evoluta che il cliente paga sull’intero patrimonio in giacenza sulla filiale con il problema che comunque i prodotti collegati (polizze vita, fondi, gestioni patrimoniali..) hanno comunque costi di ingresso, gestione, uscita. Se i clienti sapessero…”
Eh se gli ascoltatori sapessero…questa e altre storie o storiacce di risparmio gestito. Come quella del gestore tedesco condannato a una multa di 45 milioni di euro in Germania per abuso di informazioni privilegiate o il controllore della Goldman Sachs che doveva vigilare sull’insider trading e invece proprio di questo reato è stato accusato.
Ormai da diversi anni le banche non guadagnano più dal loro business storico, prestare soldi, ma dal gestirli.
Il meccanismo è molto semplice ed è illustrato nell’infografica sottostante: la banca che consiglia un prodotto finanziario al proprio cliente riceve una robusta retrocessione sul collocamento. In altre parole gran parte del costo del prodotto gli torna indietro e gli permette di fare utili. Spesso si tratta di un costo ricorrente: il cliente paga ogni anno delle commissioni di gestione sul prodotto (per esempio un fondo comune di investimento) e la banca che lo ha collocato incassa ogni anno delle retrocessioni.
>>> Investire (anche e soprattutto se pensi di farlo in modo "sicuro") senza conoscere le regole del "gioco" può costare carissimo: scarica la Guida Gratuita base scritta dai consulenti indipendenti di SoldiExpert SCF <<<
Se poi il prodotto è “della casa”, ovvero confezionato da una società che fa parte dello stesso gruppo bancario, il guadagno è addirittura doppio (il 100% del costo pagato dal cliente sul prodotto diventa un ricavo per la banca).
Anche quando la banca consiglia un fondo di una società di gestione che non fa parte del gruppo, quindi un prodotto terzo, fino a 2/3 del costo del prodotto può andare in tasca alla banca. Più il prodotto costa, più la banca guadagna.
Sul collocamento di prodotti finanziari alcuni dei maggiori gruppi bancari del Paese fanno ormai metà dei propri ricavi. E non deve quindi stupire che i costi dei prodotti finanziari siano i più cari d’Europa.
Le banche hanno buon gioco a fare ricavi dal risparmio gestito perché, come mostra una ricerca sul campo a cura di Ubs, i costi dei prodotti finanziari in Italia restano alti, nonostante la ventata di trasparenza portata dalla normativa europea Mifid2 che avrebbe dovuto portare maggiore trasparenza (e quindi concorrenza e riduzione dei costi) dei prodotti.
Purtroppo in Italia la consapevolezza dei risparmiatori sui costi dei prodotti finanziari è molto limitata. Il 75% dei clienti dei consulenti abilitati all’offerta fuori sede intervistati da UBS dichiara di non aver letto i rendiconti dei costi e oneri ricevuti l’anno scorso. Secondo UBS i costi dei prodotti finanziari non si abbasseranno, perché la stragrande maggioranza dei clienti non è consapevole che questi costi esistono, non li sa quantificare (non leggendo il rendiconto) e soprattutto non sa valutarne l’impatto sul proprio investimento.
Pagare l’1% o il 2% o il 3% annuo su un investimento di lungo termine ha effetti completamente diversi sul capitale su cui si potrà contare tra trent’anni.
In 30 anni pagare l’1% annuo di commissioni su 100.000 euro di capitale di partenza, nell’ipotesi teorica di un rendimento annuo del 6,5% sui propri investimenti, significa disporre di un tesoretto finale di 500.000 euro. Ma se si paga il 3% annuo di costi annuali, il capitale finale è inferiore di oltre 220.00 euro rispetto a chi ha un costo dell’1% e si ferma a 280.000 euro.


Tutto “grasso che cola” che molti investitori pagano per sostenere (spesso senza ricevere alcun valore aggiunto significativo) una catena distributiva fatta da una moltitudine di soggetti che deve lucrare sul capitale degli investitori e portarsene a casa una fetta.