“Mio padre perde il lavoro, io il futuro”. Ha scritto così Stefano sui fogli appesi sui cancelli della Comital di Volpiano Torinese, un’azienda che produce oggetti che entrano nelle case di tutti gli italiani, come le scope Tonkita o il Cuki, e ora sta per chiudere. “Senza il lavoro le persone non vivono – scrive Giorgia – Mia mamma non lavora e adesso purtroppo nemmeno papà e noi siamo in quattro”. Famiglie che si poggiano su una sola gamba, quella paterna, che viene a mancare. E per il nucleo familiare cambia la prospettiva del futuro.
Tra le tante che il lavoro non lo trovano, sono sempre più le donne che al primo figlio il lavoro decidono di lasciarlo. Nel 2016 30 mila donne hanno smesso di lavorare dopo la maternità e quasi una su due ha motivato all’Ispettorato del Lavoro la scelta con la difficoltà di conciliare il lavoro con i figli. Il problema esiste anche all’estero, rivela in un’intervista al Corsera Paola Profeta, docente di Scienza delle Finanze all’Università Bocconi, ma “mentre negli altri paesi le uscite sono temporanee perché le donne rientrano in ufficio una volta che i figli sono cresciuti, da noi no. L’uscita dal mercato del lavoro diventa definitiva”.
Così mentre alcuni Stati nel mondo, dall’Arabia Saudita al Giappone, cercano con motivazioni diverse di incentivare l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro, in Italia molte donne battono in ritirata, rinunciando o al lavoro o ai figli. Con quali conseguenze sul loro futuro, su quello del Paese e sui figli?
Ne ho parlato con Marco Girardo, Direttore Economia di Avvenire, a Radio InBlu nella puntata andata in onda sabato 30 settembre.
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