PRENDI I SOLDI E SCAPPA. ALL’ESTERO?

Tra i 780 euro di reddito di cittadinanza, il deficit al 2,4% e lo spread a 300, le gambe del risparmiatore italiano iniziano a fare giacomo giacomo. Così c'è chi decide per una soluzione oltreconfine. I costi, i pericoli e le alternative della pista estera

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PREMESSA: Alcuni importanti quotidiani (da “La Verità” a “Il Sole 24 Ore”)  ci hanno contattato come consulenti patrimoniali indipendenti nelle scorse settimane in merito alle possibilità per un cittadino italiano di aprire conti all’estero per difendersi dai rischi eventuali di uno spread fuori controllo. Avendo ricevuto qualche sporadica domanda in tal senso da qualche risparmiatore nelle ultime settimane ed essendo intervenuti sul tema sulla stampa abbiamo deciso di parlare di questo argomento così delicato. Non intendiamo con questa analisi suggerire in qualche modo l’opportunità di fare oggi un passo del genere, ma solo esaminare come professionisti indipendenti i rischi e i punti di forza delle opzioni possibili.
La soluzione migliore la si potrebbe solo conoscere, sapendo il futuro! E chi ci conosce e segue da anni come clienti e ha letto cosa abbiamo scritto ripetute volte sa qual è il nostro pensiero sul come è importante diversificare con giudizio il proprio patrimonio e come il “caso Italia” non è certo qualcosa che salta fuori adesso….

PRENDI I SOLDI E SCAPPA. ALL’ESTERO?

Sembra in alcuni di questi giorni essere tornati all’estate-autunno 2011 quando le pressioni dell’Europa riuscirono a far dimettere il governo Berlusconi. Lo spread anche allora era in forte salita a quota 530 nei confronti dei bund tedeschi, i conti pubblici dell’Italia peggioravano e l’Europa voleva imporre all’Italia misure draconiane. Si riuscì a evitare l’arrivo della Troika, ma non la caduta del governo.

Ci fu una profonda manovra correttiva fra cui una contestata riforma delle pensioni e l’Imu sulle case (che poi ha contribuito a provocare un crollo del mercato immobiliare e non solo)  che calmò i mercati insieme ad altre misure dell’allora governo Monti. Anche perchè arrivò poi soprattutto la cavalleria guidata da Mario Draghi a capo della Bce a inondare i mercati di liquidità con il Quantitative Easing. Era il famoso decreto Salva-Italia che evidentemente non ci ha proprio salvati a vedere poi cosa è successo con l’Italia sempre fanalino di coda in Europa come crescita e con un debito pubblico aumentato di 300 miliardi di euro dopo l’opera di Monti e poi i governi Letta, Renzi e Gentiloni.

Passati sette anni dalla quiete dopo la tempesta, sull’Italia si addensano nuove nubi. Il sostegno della Bce che tramite la Banca d’Italia deteneva oltre 360 miliardi di euro di debito pubblico verrà progressivamente meno, quindi sulle nuove emissioni bisognerà trovare qualche nuova mano amica. E molto investitori istituzionali stranieri preferiscono stare in questo momento alla finestra. Il rischio di una discesa dell’Italia sotto il gradino dell’investment grade farebbe scattare vendite automatiche secondo Goldman Sachs per 100 miliardi di euro. Non sono proprio bruscolini.

Alcuni si chiedono fin dove potrà arrivare allo spread che solo a maggio stava a 120 punti e oggi viaggia alcuni giorni oltre i 300. Non fanno dormire sonni tranquilli non solo all’Europa ma nemmeno ad alcuni cittadini italiani norme espansive della spesa pubblica come il reddito di cittadinanza o la possibilità di andare in pensione anticipatamente. C’è anche chi inizia a temere che lo Stato possa a un certo punto mettere le mani sui conti dei suoi cittadini. Così una minoranza silenziosa (e per fortuna minoritaria) di italiani ha iniziato a spostare i soldi all’estero.

Al di là della fondatezza o meno di questa personalissima decisione, è bene conoscere quali sono le possibilità in campo e non pensare che sia una soluzione che ha solo punti di forza. Quando si è molto in ansia e si ha molta paura si ha troppa fretta di trovare una soluzione rapida.

L’Idea di prendere parte o tutti i soldi depositati su banche dello Stivale per portarli oltreconfine presenta non solo pro ma anche contro che i risparmiatori devono conoscere per prendere decisioni non solo di pancia.

 

Il Fisco vede tutto

Prima di tutto qual è la ragione per cui si vogliono portare i soldi oltreconfine?

Se il motivo è quello di far “scomparire” dal radar del Fisco italiano il proprio patrimonio, con lo scambio automatico di informazioni la conoscenza del tesoretto detenuto oltreconfine viene intercettata con un semplice clic. E il contribuente deve quindi essere in grado di dimostrare che quella partita è stata costituita nel pieno rispetto della normativa vigente. Questo significa che se si depositano oltreconfine denari bisogna dichiararli nel quadro RW (anche se teoricamente dal prossimo anno il fisco italiano già potrebbe disporre di questi dati). E se questi soldi vengono investiti e producono interessi – poiché l’intermediario estero fa raramente da sostituto d’imposta – ogni anno il contribuente italiano facendosi spesso aiutare da un professionista deve pagare le tasse sul capital gain realizzato oltreconfine.

E sbagliare dichiarazione può costare caro. Ma le “scocciature” non finiscono qui. Le banche elvetiche (se questa è la direzione) sono mediamente molto più care di quelle italiane su tutti i fronti: dalla tenuta del conto alla movimentazione di titoli, fondi ed Etf. E non tutte offrono la gamma di strumenti di investimento offerti dagli intermediari italiani. Quindi chi valuta questa soluzione deve essere attento a non passare dalla padella alla brace come ci è capitato in questi anni di vedere ad alcuni investitori italiani che si sono spesso andati a cacciare in situazioni veramente complicate. Un consulente finanziario indipendente (e noi lo siamo) sa aiutare a valutare anche situazioni di questo tipo, scegliere l’intermediario più adatto per il problema da risolvere e offrire poi la consulenza patrimoniale continuativa adatta perchè nel caso (sempre che sia la soluzione giusta) “delocalizzare” parte del proprio patrimonio è solo un primo passo.

I nostri clienti replicano le indicazioni su fondi o ETF con il proprio intermediario in Italia e così possono farlo naturalmente anche se questo è domiciliato oltreconfine.

 

Soldi congelati che non rendono. E se la Borsa riparte?

Come estrema ratio, visti i costi spesso proibitivi di negoziazione, si potrebbe decidere di usare l’intermediario estero come cassaforte e non effettuando operazioni di compravendita dei titoli ma in questo caso se il mondo non solo non finisse domani ma i mercati azionari e obbligazionari mettessero a segno un robusto rialzo, si perderebbero importanti opportunità di investimento. Quando a novembre 2011 si verificò la stessa paura e ci fu un fuggi fuggi dall’Italia, le Borse italiana, europea e mondiale misero a segno rialzi in cinque anni tra il 45% e il 70%.

Chi vuole scegliere questa pista estera aprendo un conto corrente oltreconfine è bene quindi che scelga accuratamente l’intermediario con cui operare valutando sia i costi sia la gamma prodotti offerta quindi gli strumenti su cui potrà operare sia le commissioni applicate sulle operazioni. Meglio un importo flat per operazione (e sono poche le banche che offrono un gettone fisso fra cui per esempio Migros Bank) rispetto a banche che chiedono una percentuale su ogni operazione di acquisto effettuata come capita spesso nel private banking.

 

Mi assicuro il rialzo

Una soluzione fiscalmente  e operativamente più snella è quella offerta dalle polizze di diritto estero riservate però a un clientela affluent a partire da alcune centinaia di migliaia di euro di capitale. Moltissime banche e reti di vendita italiane offrono questi prodotti (etichettati come unit linked o private insurance) che hanno il vantaggio se sottoscritte con intermediari che fanno da sostituti d’imposta di non costringere il contribuente italiano a regolare da solo il pagamento delle tasse sul capital gain. Questi prodotti godono poi di due privilegi fiscali: la tassazione differita dei guadagni in conto capitale e l’esenzione dalle imposte di successione. Tra i mezzi di trasmissione dell’eredità sono tra i più “comodi” per i beneficiari rispetto alle lungaggini cui i poveri eredi sono sottoposti quando devono entrare in possesso di somme depositate su intermediari italiani. Tra i punti di debolezza naturalmente ci sono i costi perché rispetto all’acquisto diretto dei titoli occorre remunerare la rete che colloca i prodotti,  la società di gestione e anche la compagnia assicurativa e questi costi, per alcune compagnie davvero eccessivi, sono in grado di annullare abbondantemente molti vantaggi e alzare anche a più del 4% il rendimento minimo annuo da raggiungere per andare almeno in pari.

Tra le varie offerte presenti sul mercato non bisogna poi dimenticare che i risultati possono essere diversissimi e d’accordo che la paura fa novanta, ma non bisogna mai prendere il primo prodotto che viene proposto ma esaminare offerte differenti valutando sia i costi sia la strategia utilizzata sia il track record dell’operatore e come consulenti finanziari indipendenti in questi anni abbiamo valutato numerosi di questi prodotti, scoprendo spesso che molti di quelli che sono fra i più collocati in Italia hanno costi veramente eccessivi che chi sottoscrive non è nemmeno in grado di valutare. Manna per le reti di vendita (che spingono questi prodotti usando lo zuccherino fiscale e quello della delocalizzazione del patrimonio) per guadagnare commissioni annuali doppie a spese naturalmente del sottoscrittore.

E anche questi prodotti, da quanto è entrato in vigore lo scambio automatico di informazioni, possono essere intercettati dal fisco che può chiedere al contribuente l’origine e la regolarità del deposito.

L’articolo pubblicato dal quotidiano La Verità sui soldi all’estero ospita un contributo di Roberta Rossi Gaziano SoldiExpert SCF 

 

Il paradiso estero? Può diventare un inferno

Per quelli che non vogliono lacci e lacciuoli resta la via dei paesi esotici per cui non vale lo scambio automatico di informazioni. E che dire su queste soluzioni “Tanti ma proprio tanti auguri” perché è un attimo cercando di non finire in padella di andare direttamente sulla brace. I costi possono diventare fuori controllo, i rischi anche penali elevatissimi e i propri soldi possono anche cambiare di mano nei casi peggiori perché chi li gestisce da paradisi fiscali può avere la tentazione di collocarci all’interno dei prodotti non proprio tranquillissimi oltre che super esosi. E se qualcosa va storto e volete fare causa a un intermediario basato in un paradiso fiscale perché qualcuno vi ha gestito fuori dall’Italia dei soldi esportati illecitamente in modo selvaggio tanti auguri….

Quindi se proprio si vuole aprire una posizione con un intermediario fuori dall’Italia (cosa oggi pienamente consentita) assolutamente consigliato farlo in Paesi con standard bancari e finanziari elevati e valutando gli intermediari a cui affidarsi.

Rimanere nella legalità è condizione imprescindibile e in Italia al momento non c’è nessun blocco dei capitali e resta sempre l’opzione migliore se proprio è questa l’idea che si ha in testa.

Per chi invece demoralizzato da tutte queste difficoltà di costituire un tesoretto all’estero vuole mettersi più al riparo da scenari di apocalisse finanziaria, rimanendo dentro i confini nazionali può adottare come misura precauzionale di ridurre la liquidità in portafoglio (avere cash soprattutto in banche a rischio non è mai una buona idea), comprando piuttosto dei titoli (magari certo non della stessa banca).

Se si acquista per esempio  tramite il proprio intermediario italiano una sicav  (un fondo di diritto estero) o un ETF bisogna sempre ricordare che anche in caso di bail in a rischio sono le somme detenute nel conto (teoricamente solo quelle sopra 100.000 euro) mentre i titoli (azioni, obbligazioni, fondi, Etf, fondi pensione, polizze) sono sempre esclusi.
In questi casi il credito non lo si ha nei confronti della banca che si limita solo a fare da custode: i titoli sono di proprietà del cliente e la banca non può utilizzarli per pagare i propri debiti. Il patrimonio è  insomma separato da quello dell’intermediario.

Quindi se sul conto in Italia detengo dei titoli (magari non legati a doppio filo al rischio Italia) come per esempio degli ETF o delle Sicav magari che investono su attività in valuta diversa dall’euro (se anche questa è la preoccupazione) come fondi per esempio in dollari Usa o franchi svizzeri (assumendomi però un rischio cambio) teoricamente sono a un livello più alto di protezione nel caso l’acqua iniziasse veramente a salire.

Come ulteriore livello di protezione o alternativa più facile si può poi considerare di aprire un conto con un intermediario estero con una filiale italiana in modo da non ritrovarsi i soldi depositati su una banca che ha in portafoglio magari BTP in modo massiccio e si ha la paura che possa essere travolta dallo spread.  Tutte le principali banche e assicurazioni italiane hanno titoli dello Stato italiano in portafoglio: parliamo di 643 miliardi di euro (il 27% del debito pubblico) e alcune delle banche più esposte e con meno patrimonio sono proprio quelle (si pensi a Carige o MPS che però ha la garanzia statale oggi) che in queste settimane la Borsa sta più bastonando.

Insomma se proprio l’Italia vi fa paura ci sono numerosi accorgimenti che si possono valutare anche senza spostare i soldi all’estero ma non esiste (è bene saperlo) nessuna soluzione definitiva che risolve tutti i problemi senza qualche problema.

Nessuno sa cosa accadrà nel futuro (e certo nemmeno noi) e si entra in molte di queste scelte in situazioni molto personali perchè cambia da risparmiatore a risparmiatore la percezione del rischio (anche quello Italia) e di cosa è sicuro e di cosa non lo è. Riguardo l’investimento finanziario il nostro consiglio da sempre per chi ci segue è quello di considerare l’Italia un luogo dove investirci sì ma senza esagerare perchè già si lavora o si ha un’impresa in questo Paese, si possiedono magari uno o più immobili e anche cumulare investimenti massicci sui titoli di Stato, in obbligazioni di banche italiane e poi in azioni non è proprio consigliatissimo a seguire la vecchia ma sempre valida regola di non mettere tutte le uova nello stesso paniere.

Tra l’altro proprio di questo argomento parleremo giovedì 25 ottobre alle 14 alla Borsa Italiana dove terremo all’interno della manifestazione Tol Expo una conferenza dal titolo “Italia sì, Italia no” Dopo i PIR potrebbero arrivare i CIR. Con gli investitori italiani perplessi tra spread, immobiliare bloccato e patrimoni da riallocare. Chi può è benvenuto in sala (Balconata 2) chi proprio non può essere presente dovrà attendere qualche settimana quando pubblicheremo il video dell’intervento. Sempre che non prenda fuoco la telecamera o il nostro operatore abbia un malore come è successo a quel direttore di banca pochi giorni fa che ha sventato una rapina perchè quando è stato accompagnato al caveau dai rapinatori è svenuto e ha perso conoscenza. E i rapinatori sono fuggiti a gambe levate di fronte all’unico evento che proprio non avevano previsto 🙂

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