Questo articolo è il sesto di una serie di articoli dedicati alla finanza vista da un angolazione particolare: quella dell’Arte. L’articolo precedente si può leggere cliccando qui l’articolo successivo si può leggere cliccando qui
Nel 1650 Diego Velázquez dipinge uno dei capolavori del ritratto in tutto il XVII secolo.
Diego Velázquez, Ritratto di Innocenzo X, 1650
Nel “Ritratto di Innocenzo X”, conservato alla Galleria Doria Pamphilj, Velázquez raffigura Giovanni Battista Pamphilj, papa dal 1644 al 1655 con il nome di Innocenzo X. Il volto arcigno, lo sguardo penetrante, l’estrema sicurezza del proprio prestigio e potere non possono che suscitare nello spettatore rispetto e fiducia. Nell’uomo e nell’istituzione che rappresenta: il papato.
Velasquez è il pittore della “vita senza commenti” secondo la felice definizione di Flavio Caroli nella “Storia dell’Arte raccontata da Flavio Caroli” (Electa Edizioni). Uno che dipinge quello che vede. Non va oltre. Innocenzo X è un papa buono o cattivo? Dal quadro non si capisce. Velasquez è dalla parte del papato e della Chiesa? Critica l’istituzione o ne è un sostenitore? Non è un problema che l’artista si pone.
Il suo compito è ritrarre e lo fa magnificamente usando quasi solo due colori i bianchi e i rossi. Rende in modo incredibilmente veritiero la ricchezza delle vesti bianche e la lucentezza del mantello e del cappello rossi e della tenda. Ma di Innocenzo X il quadro non dice nulla. L’artista non lo indaga dal di dentro. Non è interessato al suo inconscio (nel 600 non era stato ancora scoperto). Il suo sguardo è esterno al soggetto. Il pittore è uno spettatore. Un ritrattista, uno che ritrae. L’artista sta “al suo posto”. Non è (ancora) un contestatore. Lo diventerà qualche secolo dopo. E precisamente nel Novecento quando si darà un nuovo ruolo e un nuovo compito anche in aperta contestazione con l’arte del passato.
L’orinatoio di Duchamp
Con il Novecento l’artista diventa anche un contestatore. E la prima cosa che contesta è la definizione di artista. Chi è l’artista? Colui che fa o che sceglie? Pensiamo a Duchamp che nel 1917 in una mostra di artisti indipendenti propone sotto mentite spoglie un orinatoio (“Fontana”). Fa una cosa rivoluzionaria.
Dice che l’artista non è colui che fa ma colui che sceglie cosa mostrare: “Non è importante che l’artista abbia fatto l’opera con le sue mani o no. Egli l’ha SCELTA. Egli ha preso un articolo ordinario della vita di ogni giorno, lo ha collocato in modo tale che il suo significato d’uso è scomparso sotto il nuovo titolo e il nuovo punto di vista – ha creato un nuovo modo di pensare quell’oggetto“. Decontestualizzandolo.
Bacon: il mio Innocenzo X
Nel 1900 con “L’interpretazione dei Sogni” di Freud l’inconscio irrompe con tutta la sua potenza. L’artista diventa un indagatore dell’anima. Di ciò che vi è oltre l’immagine, di ciò che scuote e turba il soggetto dal di dentro. Lo stesso quadro di Velasquez l’irlandese Francis Bacon (1909-1992) lo dipinge così.
Francis Bacon, Ritratto di papa Innocenzo X di Velázquez, 1953
300 anni dopo Velasquez, Francis Bacon mostra un papa dilaniato che non suscita più rispetto e fiducia ma disagio e apprensione.
Ai bianchi e ai rossi di Velasquez Bacon sostituisce colori scuri. Scompaiono gli ornamenti della poltrona e il papa è come imprigionato in una gabbia tutt’altro che dorata. Al profano l’Innocenzo X di Bacon sembra cattiva pittura (ma a molti piace visto che in asta una sua opera, Triptych, è stata battuta per 86 milioni di dollari). Ma non è cattiva pittura o un quadro fatto da uno che non sa dipingere, al contrario del quadro di Velasquez, come qualcuno potrebbe pensare.
Bacon fa tutt’altro che un’operazione veloce e buttata lì. Perché alla serie di quadri dedicati all’opera dell’artista spagnolo dedica trent’anni della sua vita.
Velasquez si mantiene fedele all’iconografia ufficiale e alla ritrattistica dell’epoca. Dipinge l’istituzione in tutta la sua ieraticità, imponenza e autorità. In Bacon qualcosa si rompe. La fiducia e il rispetto per il Papato non ci sono più. Innocenzo X è visto come un uomo comune preda delle sue emozioni e delle sue paure. Non è più intoccabile. E’ umano. Con tutte le sue fragilità. Non salverà gli uomini perché non è in grado di salvare nemmeno se stesso. “La pittura del XX secolo” spiega Caroli “aveva quasi dimenticato la carne di cui siamo fatti, e Fracis Bacon glielo ha ricordato”.
Bacon è uno che cerca di far capire che un onesto pittore deve rappresentare la complessità della vita. Uno che ai quadri di Velasquez dice di preferire le radiografie perché sono più vere.
Per scoprire la “vera” figura del papa Bacon lo “sfigura” partendo dal quadro di Velasquez stravolgendo l’espressione spiega Giulio Carlo Argan nella Storia dell’Arte Moderna (Sansoni Editore) “da forte in debole, da volitiva in astuta, da severa in malvagia”.
Del resto Per Bacon “La pittura è demistificazione, brutale scoperta della realtà sotto la finzione”. E in questo senso il Papa di Velasquez è ingannevole.
Per Argan il pittore irlandese Bacon (morto nel 1992) non assume Velasquez come modello ma come “oggetto di critica: vuol dimostrare che se quegli artisti come Velasquez avessero portato fino in fondo il loro discorso pittorico, sarebbero giunti a conclusioni molto diverse”. Le sue. Quella di Bacon non è una contestazione della Chiesa o del Papa ma è la contestazione di un modo troppo “idealizzato” di raffigurare la realtà. Sempre dal di fuori e mai dal di dentro. «Non c’è tensione in un quadro», scrisse nel 1955, «se non c’è lotta con l’oggetto».
Realtà e finzione
Se “La pittura è demistificazione, brutale scoperta della realtà sotto la finzione” anche nella finanza si dovrebbe compiere un processo di “evidenziazione dell’aspetto reale di un comportamento, di un’ideologia ecc., che viene così sfrondato dei suoi tratti esteriori, spesso ingannevoli.”
Il tema dell’inganno in finanza è quanto mai attuale. E spiega perché la maggior parte delle persone non riesce a ottenere ritorni interessanti e positivi dai propri investimenti. Ce lo spiega Arthur Leavitt, dal 1993 al 2001 alla guida della Sec, la massima autorità di controllo della Borsa statunitense, nel libro “Il Risparmiatore Ingannato” (Passigli Editore). Sottotitolo “Banche, intermediari finanziari e conflitti di interesse”. Il risparmiatore non guadagna semplicemente perché spesso non gli vengono venduti prodotti convenienti per lui ma per gli intermediari.
L’ossessione di raggiungere utili a breve termine che ha caratterizzato questa ultima decade, ha avuto come conseguenza lo sviluppo di una cultura del rischio che si è diffusa tra gli stessi analisti finanziari, intermediari, gestori di fondi, rendendo difficile distinguere tra speculazione ed onesta consulenza. Secondo Leavitt “gli investitori vengono nutriti di bugie e illusioni, vengono sfruttati e trascurati”. Perché il loro interesse non coincide con quello delle istituzioni che gli danno consigli di investimento.
Quale interesse?
Le banche e gli intermediari finanziari non sempre fanno gli interessi dei loro clienti. Perché non sono i clienti la loro prima preoccupazione. Essendo società quotate il loro primo referente è uno solo: l’azionista. Come ha ribadito con forza Giuseppe Mussari, Presidente dell’Associazione delle Banche Italiane (ABI), quando il governo ha chiesto alle banche di azzerare le commissioni su affidamenti e sconfinamenti «Le banche sono imprese e hanno il diritto/dovere di fare profitti – ha tuonato il Presidente dell’Abi- Non possiamo essere servizio pubblico perché è in contrasto con la nostra natura giuridica e i milioni di azionisti che abbiamo”. Ai clienti quindi niente sconti. Le banche devono fare soldi. Per gli azionisti in primis. I clienti vengono dopo.
Clienti cash cow
I clienti per alcune banche sono soprattutto “mucche da mungere”. Come racconta un Dirigente del Monte dei Paschi di Siena al giornalista Paolo Mondani di Report in una puntata andata in onda a dicembre.
Due anni fa la banca senese vende ai propri clienti 1,56 miliardi di obbligazioni “Casaforte”. Titoli a trent’anni che vengono venduti anche a persone anziane. I primi due anni spiega il Dirigente di Mps al cliente non rendono nulla con tutti i costi da cui sono gravate. Ma al cliente queste spese vengono omesse.
“Ma come li avete raggirati?” chiede il giornalista. “Si fidavano di noi” risponde il Dirigente. E il giornalista non demorde e chiede come lo avevano convinto i suoi superiori a piazzare ai clienti delle obbligazioni così scadenti per i clienti. “Mi facevano notare chi mi pagava lo stipendio. La banca o i clienti? La banca.”
Il conflitto di interesse
La gestione del risparmio è solo una delle fonti di profitto delle banche. Che svolgono al contempo moltissimi ruoli: prestano i soldi dei depositanti a famiglie e imprese, le accompagnano nella quotazione in Borsa, le aiutano a emettere obbligazioni e a collocarle sul mercato (leggi trovare acquirenti per questi titoli), hanno uffici studi che redigono report su imprese quotate (con cui magari le banche sono in afffari), gestiscono tramite proprie società di gestione i soldi dei risparmiatori, emettono propri titoli di debito e li vendono ai loro clienti, speculano in Borsa, e sono società quotate quindi quando c’è bisogno di fare un aumento di capitale promuovono presso i loro clienti la sottoscrizione di questi titoli.
Le banche sono diventate dei colossi finanziari secondo alcuni troppo complessi da gestire responsabilmente. Istituzioni dalle mille facce. Con molti interessi spesso in conflitto tra loro. Ma pochi conoscono la complessità estrema che c’è dietro una banca. I suoi conflitti.
La banca moderna è come la Sfinge ritratta da Gustave Moreau, un pittore appartenente alla corrente del Simbolismo. Non quella che siede sulle tombe dei faraoni egiziani ed è protettrice dei buoni. No Moreau ritrae la sfinge che secondo le leggende greche imperversava nella regione di Tebeche divorava i passanti che non sapevano rispondere alle sue domande. Un mostro metà donna e metà bestia. Ma lo sguardo di molti si ferma alla donna. Oltre non va. Il mostro non lo vede.
Gustave Moreau, Edipo e la Sfinge, 1864
Le banche dalle mille facce che prima fanno i propri interessi e poi quelli dei propri clienti che si tratti di imprese o risparmiatori comuni. Come quei 150 mila risparmiatori italiani a cui le banche hanno venduto un anno prima del crack 2,2 miliardi di obbligazioni Parmalat provocandogli perdite pesantissime. Del resto scrive Mara Monti ne “L’italia dei Crack” Newton Compton Editori del gruppo di Collecchio (fallito a fine 2003) gli analisti parlavano un gran bene. Dal 1997 al 2003 su 168 report redatti da 32 banche o società di intermediazione i giudizi erano in larga parte positivi a causa anche dei conflitti di interesse tra gli analisti e le banche d’affari che avevano in corso operazioni con il gruppo di Collecchio.
Spesso quindi le istituzioni nel sistema finanziario non sono propriamente amiche del risparmiatore. E allo sportello non sempre consigliano il prodotto migliore ma quello più conveniente per la banca. Quello dove l’istituto di credito guadagna di più. O quello che serve all’istituto per rimettere in ordine i propri conti.
Non va molto meglio nelle società specializzate nella gestione del risparmio. Sono spesso società quotate e anche loro devono rendere conto prima di tutto ai propri azionisti e poi devono remunerare un esercito di promotori che vende i loro prodotti a tutto il clan familiare e poi per esteso a tutti gli amici e conoscenti. I prodotti venduti giustificano e sono all’altezza di tutta questa “tosatura commissionale” che deve servire a remunerare un piccolo esercito di venditori? Non sempre. Anzi nel 90% secondo tutti gli studi vendono aria fritta (e nel tempo i rendimenti offerti sono inferiori all’andamento dei mercati dove investono) ma il risparmiatore comune si fida e si fa tosare.
Imparare a difendersi
Prima di sottoscrivere un prodotto finanziario occorrerebbe capire qual è l’interesse di chi ce lo propone. Se a farlo è lo sportellista della banca chiedere perché consiglia proprio quel prodotto e quale incentivo ha a collocarlo. Chiedere al promotore o al funzionario bancario di mostrare l’andamento passato dei suoi consigli di investimento.
Non è detto che solo perché uno lavora in banca sia un mago della finanza. Magari è una persona comunque competente e onesta ma magari non lo ritroverete in quella scrivania fra 6 mesi perché verrà destinato ad altro incarico e al suo posto ci sarà un altro funzionario più bravo a “piazzare i prodotti della casa”. In Inghilterra da quest’anno i promotori finanziari così come fanno i consulenti finanziari non potranno ricevere retrocessioni dalle società di gestione.
In Italia i consulenti globali o i family banker o i cosiddetti personal financial adviser invece sono tutti pagati non dai clienti ma dalle società di cui collocano i prodotti. Sono spesso dei venditori più che dei consulenti. E sui prodotti che collocano ricevono provvigioni differenti. Quindi operano in una situazione di potenziale forte conflitto di interesse: il prodotto consigliato può essere quello più redditizio per il promotore/consulente globale/family banker/personal financial adviser e non per il cliente.
Occhio ai rischi
Siccome come dice Leavitt non è sempre colpa degli altri quando si fanno investimenti sbagliati occorre fare domande. Per esempio sui rischi dell’investimento.
Qualsiasi prodotto finanziario comporta un rischio. Non farsi imbonire da frasi generiche tipo il prodotto è a basso rischio. In questi anni abbiamo visto anche prodotti monetari/liquidità venduti come sicuri e a basso rischio (per esempio dei fondi di Deutsche Bank come il fondo monetario Dws Invest Euro Reserve poi fatto sparire e confluito in altro fondo) arrivare a perdere oltre il 12% in poche settimane perché dentro c’erano degli investimenti “tossici”.
Se vi consigliano fondi (o Etf) che sono andati molto bene nell’ultimo anno chiedere come si sono comportati questi fondi negli ultimi 3 e 5 anni per poterne valutare il rischio e chiedere a chi ve li consiglia se ha una strategia non solo quando le cose vanno bene (per scegliere i fondi con le migliori fondi performance passate non ci vuole molto) ma siccome il mercato “ruota” quale strategia flessibile attua e se è possibile vedere un track record dei risultati realizzati.
Chiedere se una volta effettuato un investimento esso è facilmente monetizzazabile e che mercato ha (spesso le obbligazioni vendute in Banca non sono quotate e quindi non hanno mercato visto che è il Banco in tutti i sensi che ve le deve ricomprare).
Chiedere (nel caso delle assicurazioni) quanti anni occorreranno per recuperare gli alti costi che gravano su questi prodotti e farsi mettere per iscritto su carta della compagnia qualsiasi proiezione che vi raccontano sui rendimenti netti che dicono che incasserete (vedrete quanti assicuratori scompariranno..).
Chiedere quando qualcuno vi consiglia di comprare delle azioni se la società per cui lavora ha dei rapporti di affari con le imprese che consiglia di comprare. Ricordatevi come dice Leavitt che “In quanto investitori avete anche voi delle responsabilità”. Non pensate soprattutto che gli intermediari finanziari siano delle “anime belle” pronte a fare il vostro interesse.
In definitiva come suggeriscono i quadri di Bacon e Moreau occorre scoprire (è nel nostro interesse) la realtà sotto la finzione. De-mistificare le istituzioni. Capire come ragionano. Capire su cosa guadagnano. Per capire se possiamo affidargli o meno i nostri risparmi. Se ne avranno cura e se ci daranno i migliori consigli per curare i nostri interessi.
La realtà in finanza è che il risparmiatore ha pochi amici. Soprattutto nelle istituzioni. Cui demanda il compito di gestire i propri risparmi. Cui si affida per ricevere consigli su come investire. Non sapendo che le persone cui si rivolge possono essere dilaniate come il Papa Innocenzo X di Bacon da conflitti come quel Dirigente di Mps che ha vuotato il sacco con il giornalista di Report. Ha urlato al mondo i suoi conflitti, l’interesse del cliente o la banca che gli paga lo stipendio?
Ma il nemico dell’investitore non si nasconde solo nelle istituzioni che lo ingannano ma anche dentro di lui in diversi casi. E ne parleremo nel prossimo articolo.