Il 2 maggio 2011 entrerà in vigore la nuova legge sull’OPA e che riguarda anche il delisting.
opa cosa significa
Per Offerta Pubblica di Acquisto (di seguito OPA) si intende ogni offerta, invito ad offrire o messaggio promozionale finalizzato all’acquisto in denaro di prodotti finanziari. Qualora l’acquisto venga realizzato consegnando, a titolo di corrispettivo, altri prodotti finanziari, l’offerta pubblica viene definita di scambio.
Il soggetto che lancia un’offerta pubblica di acquisto o di scambio deve effettuare preventivamente un’apposita comunicazione alla Consob (l’Autorità indipendente che vigila sui mercati italiani) allegando un documento, destinato alla successiva pubblicazione, contenente le informazioni necessarie per consentire al pubblico di formarsi un giudizio sull’OPA stessa.
Al via la nuova legge sull’Opa. Meglio, anzi solo meno peggio
Una qualche buona notizia in materia viene (secondo alcuni) dalla nuova legge sull’OPA che entra in vigore il 2 maggio 2011 e che riguarda anche il delisting.
In particolare nel caso di successo di un’OPA promossa dall’azionista di controllo o da altri soggetti cosiddetti insider, è prevista la riapertura dei termini per consentire l’adesione anche agli azionisti che, in un primo momento, avevano scelto di non conferire i titoli.
La nuova norma cerca di limitare la pressione sui piccoli azionisti destinatari di un’Offerta pubblica di acquisto a consegnare i titoli a un’OPA pur non reputando congruo il prezzo di offerta, nel timore che, in caso di successo, il valore di mercato delle azioni post-OPA si deprima per effetto del nuovo assetto di controllo e/o della minore liquidità. In tutti i casi, la strada di aderire per il piccolo azionista è quasi obbligata. Anche perché, tenere in portafoglio titoli non più quotati vuol dire essere in balìa della proprietà.
La nuova normativa sull’OPA: evitare il “pressure to tender”
Secondo l’autorità di controllo questo dovrebbe contrastare il cosiddetto fenomeno del “pressure to tender” (coazione a vendere), che si verifica quando gli azionisti destinatari di un’OPA, pur non reputando congruo il prezzo di offerta, vi aderiscono per timore di rimanere in possesso di titoli destinati a deprezzarsi alla chiusura dell’OPA medesima.
Il nuovo articolo 40-bis del Regolamento prevede, per il caso di successo di un’offerta promossa da insider (comma 1), una riapertura dei termini dell’offerta stessa, al fine di consentire agli investitori che non vi abbiano inizialmente aderito di apportare i propri titoli nel corso del cd. secondo round. Agli offerenti è lasciata la facoltà di prevedere, in alternativa alla riapertura dei termini, che l’offerta sia oggetto di un referendum tra gli oblati e che sia condizionata all’approvazione della maggioranza di coloro che vi aderiscono.
Inoltre, al fine di ridurre le asimmetrie informative a danno degli investitori e in considerazione del rischio che, nelle offerte promosse da insider, i legami dell’organo amministrativo della società target con l’offerente ne condizionino l’obiettività, è stato previsto che gli amministratori indipendenti (articolo 39-bis) redigano un parere contenente le proprie valutazioni sull’offerta. Ove sia integralmente recepito dall’organo amministrativo della società target, il parere degli amministratori indipendenti è contenuto nel comunicato dell’emittente, altrimenti è pubblicato quale allegato a quest’ultimo.
L’OPA a sconto sulla Rinascente
SoldiExpert SCF considera questo passo avanti verso la tutela dei piccoli risparmiatori troppo timido. La sostanza non cambia molto, poiché potrebbe ancora verificarsi un caso come l’OPA su Rinascente del 2003. In quell’occasione, il prezzo offerto agli azionisti di minoranza era decisamente inferiore anche alle stime più prudenziali, poiché il valore offerto dalla famiglia Agnelli era nettamente più basso rispetto al solo valore immobiliare stimato per gli immobili del gruppo, attribuendo un valore sostanzialmente nullo a tutta l’attività distributiva.
Secondo la nuova normativa (art. 39 bis) un simile caso potrebbe anche ripetersi: basta che qualche amministratore “indipendente” dichiari che il valore stimato abbia una qualche fondatezza (e ai numeri come si sa si può far dir tutto e il contrario di tutto), redigendo (anche con l’ausilio di terze parti a spese della società offerente) un’ulteriore perizia.
Ma la nuova normativa sull’OPA a ben leggerla riduce perfino per il risparmiatore le possibilità di ottenere un trattamento più corretto in caso di OPA a “tradimento”.
La nuova normativa e le speranze di rilanci al rialzo su azioni oggetto di OPA
L’Autorità in proposito sottolinea che l’esperienza applicativa della previgente disciplina ha reso consigliabile di limitare il grado di “discrezionalità” della Consob nelle valutazioni da compiere, al fine di ridurre l’incertezza del mercato in corso di OPA e non introdurre nel comportamento degli investitori elementi distorsivi derivanti da aspettative circa un diverso corrispettivo determinato dalla Consob.In pratica le modifiche apportate ( articoli 50 e da 50-bis a 50-quinquies del Regolamento) estendono, le ipotesi in cui il prezzo dell’obbligo o del diritto di acquisto a seguito di un’offerta totalitaria in misura pari al prezzo dell’offerta precedente.
Insomma inutile attendersi un prezzo dell’OPA residuale superiore a quello proposto dalla società (come è successo raramente nel passato da parte della Consob ma con qualche caso da manuale come avvenne per esempio con ERICSSON Italia). Per evitare di “perder tempo” e “creare inutili speranze” nel risparmiatore il prezzo finale di ritiro dal listino sarà quello proposto dagli stessi azionisti di maggioranza nell’offerta precedente. Certo in passato poteva andare molto peggio come è stato per un caso famoso, quello dell’OPA di Swisscom sull’ex regina della new economy della fibra: Fastweb.
Swisscom e l’offerta pubblica di acquisto su Fastweb
C’è una cosa peggiore che può capitare a un risparmiatore rispetto ad acquistare un’azione a caro prezzo. Vedersela tolta dal listino con un’offerta “prendere o lasciare” fatta dallo stesso azionista di maggioranza attraverso un’offerta pubblica di acquisto mirata al delisting del titolo.
In questi anni questa eventualità è successa purtroppo numerose volte e uno dei casi recenti più clamorosi è stato quello dell’OPA lanciata da SwissCom su Fastweb.
Nel 2000 questa società (col nome di e.Biscom) entrò in Borsa con una quotazione di ben 160 Euro ad azione sulla base di generose proiezioni future e di una campagna stampa e pubblicitaria che facevano apparire questa Ipo come quella del secolo se non del millennio.
Le cose non sono andate poi così proprio bene per la società che è arrivata negli scorsi anni a sprofondare in Borsa sfiorando i 10 euro. Poi nel marzo 2007 la decisione della società di telecomunicazioni Swisscom di procedere a un’OPA a 47 euro per azione.
Non tutti i piccoli azionisti aderiscono e lo scorso settembre il colosso elvetico Swisscom, già proprietario con l’82% lancia un’OPA residuale a 18 euro per ogni
azione Fastweb. E pazienza se è quasi due terzi in meno di quanto pagato 3 anni prima.
Anche questa volta alcuni piccoli azionisti non aderiscono all’offerta, ritenendo il prezzo incongruo. Al termine del periodo dell’OPA Fastweb resta sotto il 95% e non è possibile perciò procedere allo “squeeze out” (ovvero al ritiro dal listino). Tocca alla Consob dire qual è il prezzo giusto per l’OPA residuale. Ma la delusione per i piccoli azionisti di Fastweb è cocente: 18 euro.
Chi non ha aderito alla prima e alla seconda OPA è restato così col cerino in mano.
azionisti: prima con le IPO li tirano dentro poi con il delisting li buttano fuori
Purtroppo in questi anni i risparmiatori italiani hanno infatti scoperto il lato anche meno nobile delle offerte pubbliche di acquisto.
L’azionista di controllo decide di uscire dal mercato offrendo un prezzo “equo” secondo la normativa vigente, ma che sembra quasi una beffa rispetto al valore assegnato allo stesso titolo durante l’IPO.
Si è osservata, infatti, in questi anni da parte delle aziende che si quotano una strana forma di “schizofrenia”.
Gli esperti, scelti tra le menti più brillanti delle banche d’affari, spiegano che il titolo vale almeno 10 euro, basandosi su multipli, confronti con i competitor, prospettive di crescita e previsioni sui flussi di cassa fino alla fine del mondo. Tuttavia, qualche anno dopo, una volta che il mercato reale (e non quello basato su formule calcolate con Excel) si comporta diversamente dalle aspettative e il titolo viene “ingiustamente” penalizzato dalla Borsa, si presenta l’idea di ricomprare le azioni a prezzo da saldo, magari offrendo 2 euro.
E pazienza se sono magari le stesse banche d’affari che prima magari avevano valutato che valesse 10 il titolo e le virtù di quotarsi in Borsa ora a spiegare ai proprietari e ai manager tutti i vantaggi di fare le valigie da Piazza Affari, valutando questa volta al “ribasso” il valore e le prospettive della società.
Si tratta di una vera forma di schizofrenia perché nel caso di delisting gli stessi manager che prima parlavano solo delle virtù (a caro prezzo) di quotarsi ora scoprono invece come è più bello non essere quotati: meno costi, più libertà operativa, minori controlli e seccature dagli azionisti di minoranza, Consob e Borsa Italiana, maggiori facilità di ristrutturare…