La paura dell’inflazione e l’aumento dei rendimenti fanno intravedere il ritorno di un’alternativa alle azioni growth ovvero i titoli ad alta crescita?
Secondo il gruppo di gestione patrimoniale indipendente GAM Investments, forse è presto per darle per finite, così come sarebbe incauto decretare la fine dei titoli “growth”.
Quest’ultima è stata una settimana movimentata: mentre stampa e televisione ricordavano la ricorrenza di un anno di Covid-19 (ha compiuto un anno anche il motto “andrà tutto bene”), sui mercati andava in onda la tempesta perfetta.
Le obbligazioni e il settore tecnologico in cui sono presenti le azioni growth hanno registrato perdite pesanti, giovedì 25 febbraio il rendimento del Treasury a dieci anni superava, sia pure per poco, il livello dell’1,6% (per ripiegare attorno a 1,4% il giorno successivo), l’indice Nasdaq scendeva del 3,5 per cento.
A scatenare la tempesta perfetta, secondo GAM, è stato l’aumento dei rendimenti: la miscela di ripresa economica ed eccesso di sostegni fiscali hanno esacerbato le paure sull’inflazione e, quindi, la paura che le banche centrali siano costrette a modificare le politiche ultra-accomodanti, a “spingere sul freno”, scrive il Wall Street Journal.
L’allarme è stato procurato dal movimento del tasso reale, grandezza finanziaria osservata dalle autorità monetarie e determinante nell’orientare la preferenza per le azioni growth e anche ma con un impatto minore per le azioni value.
I mercati sono un enorme Jenga, se si sposta un solo mattoncino e si mette a repentaglio la stabilità dell’intera struttura: l’aumento dei tassi di interesse è il mattoncino che fa diminuire il valore attuale dei futuri cash flow delle società, si riduce il premio al rischio e diventa relativamente meno conveniente cercare rendimento nelle azioni, in modo particolare in quei titoli le cui valutazioni sono state spinte a livelli insostenibili proprio dai tassi al pavimento.
Il grafico seguente mostra che le aspettative riguardo all’inflazione sono cresciute:
I vaccini, le aspettative di ritorno alla normalità, gli stimoli fiscali e la paura dell’inflazione hanno dapprima favorito la rotazione settoriale.