IL MIO PICCOLO GENIO. COME EDUCARE I FIGLI AD AMARE LA CONOSCENZA

Non possiamo certo laurearci in fisica e sposare un fisico per ambire a un figlio intellettualmente dotato come Alexander Hermes, ventinove anni, tre lingue parlate perfettamente (tedesco, italiano e inglese), laurea a Cambridge in chimica e dottorato a Oxford. Sua mamma spiega in questa intervista che l'apprendimento è un atteggiamento mentale e qualunque genitore puo' imparare a stimolare intellettualmente i propri figli nella vita quotidiana. E' piu' semplice di quanto si pensi...

Oggi in DONNE E INVESTIMENTI, la sezione di SoldiExpert SCF dedicata a temi cari all’universo femminile come quello dell’investire sui figli, viaggiamo a cavallo tra scienza e educazione. Grazie a Lucia Incoccia Hermes, una ricercatrice italiana da anni residente ad Amburgo, che all’estero ha fatto carriera in un campo un po’ singolare per una donna.
Ha trovato qui in Germania l’amore e ha cresciuto un figlio, Alexander, che lei si rifiuta di considerare un “genio”.
Le donne di scienza sanno che in fondo che il genio è relativo e c’è sempre qualcuno più dotato nell’universo.

Alexander comunque, il figlio di Lucia, tanto “normal” non è: a ventinove anni parla perfettamente tre lingue (tedesco, italiano e inglese), si è laureato a Cambridge in chimica, ha fatto un dottorato ad Oxford e lavora in Inghilterra per Metaswitch, una società che grazie alle moderne tecnologie (protocollo IP e cloud computing) si occupa di sviluppare software per potenziare il funzionamento delle reti.

In questa intervista Lucia Incoccia Hermes ci fornisce qualche pillola di saggezza per crescere un figlio magari non extra-dotato come Alexander, visto che replicare il capitale umano di partenza del giovanotto è un po’ difficile (due genitori laureati in fisica a pieni voti), ma almeno intellettualmente vivace.

 

Lucia ti sei laureata in fisica negli anni Settanta. Una scelta rara per una donna in quegli anni e in quel campo, perché hai scelto questa facoltà?

Mi interessavano le scienze in generale, e la fisica mi sembrava quella che scavava piú in profonditá. Venendo dal liceo classico, mi sentivo attratta dall’idea di appropriarmi di un’ulteriore chiave di comprensione del mondo. Suona tutto molto astratto, lo so, e anche molto ingenuo.

Il liceo classico tende a fare questo effetto: si vuole, dopo averlo fatto, rimettere i piedi per terra. I tuoi genitori da quale ambiente provenivano?

Mio padre era ingegnere, mia mamma insegnante di italiano. Entrambi provenienti da ambienti semplici. Entrambi i primi a studiare delle loro rispettive famiglie. Hanno fatto del loro meglio per trasmettere a me e a mia sorella l’interesse per la lettura e per il sapere.

Cosa ti ha affascinato della fisica visto che poi hai continuato a lavorare in questo settore?

Nel corso degli studi sono stata conquistata dalla materia stessa e dal suo rigore metodologico.

Per qualche anno hai lavorato a Roma al CNR, la più grande struttura pubblica di ricerca in Italia, poi ti sei trasferita ad Amburgo.

Ho ricevuto una bella proposta da un’azienda tedesca. L’estero è un destino obbligato per molti ricercatori, non solo di chi si laurea in fisica, anche per chi fa biologia o chimica ci sono più finanziamenti. Il problema è che non è quasi mai un’esperienza temporanea ma definitiva. E questa è una perdita netta per il Paese.

La tristemente nota fuga dei cervelli: l’università italiana li cresce e poi molti nostri ottimi ricercatori finiscono all’estero dove in ricerca si investe di più. C’è anche una seconda professione per i ricercatori, quella di coordinatore di progetti di ricerca. Tu hai svolto entrambi i ruoli. Quale percorso consiglieresti a un giovane?

Il supervisore di progetti è un percorso professionale che si è sviluppato negli ultimi anni. E’ un ruolo più manageriale, molto interessante ma anche decisamente complesso, perché i progetti sono sempre più interdisciplinari e internazionali, quindi si tratta di padroneggiare più campi e di coordinare il lavoro di più istituti di ricerca di diversi paesi. E’ un ruolo di tipo organizzativo, stimolante, ma non è come essere in prima linea a fare ricerca in laboratorio e un po’ questa cosa poi ti manca.

In Germania non è ti mancato l’amore: ti sei sposata con un fisico, Christoph Hermes. Ed è nato Alexander, che oggi ha ventinove anni, lavora in Inghilterra nel settore del cloud computing e del networking, si è laureato in chimica a Cambridge e ha un dottorato a Oxford. Di cosa parlavate voi tre a tavola?

Abbiamo sempre coinvolto Alexander nelle discussioni su temi di attualità, senza esprimere giudizi definitivi. Penso che la cosa più importante sia avere una vita familiare aperta a tutte le possibili sollecitazioni, in cui non ci siano tabu’ e si discuta il piu’ spesso possibile sulle cose che accadono, cercando di aprirsi al mondo. Non bisognerebbe costringere i figli per amore verso di noi o per rispetto a darci ragione, quando invece la cosa sarebbe tutta da discutere, anche perché si rischia o di annullare la capacità critica o di scatenare delle vere e proprie ribellioni. Ai figli bisogna dare la possibilità di sviluppare le proprie idee.

In Alexander, avete cercato di coltivare il dubbio, come Ipazia, scienziata di epoca alessandrina..

E’ molto importante lasciare ai figli delle porte mentali aperte. Loro conoscendoti sanno come la pensi in fondo, ma devono essere liberi di sviluppare una propria opinione sul tema di cui si discute.

Come trascorrevate il tempo libero con Alexander?

Non certo in laboratorio! Facendo cose normali. Anche andando a sciare. Oggi l’offerta di eventi e di corsi è talmente ampia che si rischia di disperdersi, pensando che sia necessario offrire chissà quali cose a un figlio.

Secondo me non è importante il cosa si fa con un figlio, ma il come lo si fa. L’apprendimento è un atteggiamento mentale

Anche una passeggiata in un bosco può essere stimolante, una gita fuoriporta, una mostra di natura artistica o scientifica, la dialettica con una persona.

Occorre trasmettere ai ragazzi il piacere di andare verso il mondo con occhi e orecchie bene aperte, di assorbire informazioni nuove e di farle proprie

Mai avere l’indice puntato a voler fare il maestro. E’ importante che i ragazzi sviluppino la fantasia, il piacere di raccontare anche in modo non serioso quello che hanno visto, che siano stimolati a riflettere su cosa sarebbe bello fare insieme la prossima volta.

 

La Famiglia Hermes
La famiglia Hermes: Alexander, laurea in chimica a Cambridge e dottorato a Oxford e i genitori Lucia e Christoph laureati in fisica

Alexander parla perfettamente tre lingue: tedesco, italiano e inglese. Questa varietà di sistemi linguistici gli ha dato una marcia in piu’?

Credo che il bilinguismo abbia fornito un contributo importante allo sviluppo delle capacità cognitive di nostro figlio. Alexander è cresciuto ad Amburgo e suo papà e’ tedesco, mentre con me ha sentito l’italiano, che negli anni ha perfezionato nei mesi estivi trascorsi in Italia con la mia famiglia di origine. Il bilinguismo è stata un’ottima palestra mentale che ha dato a mio figlio piu’ ampie possibilità espressive e lo ha portato ad acquisire facilmente la padronanza di una terza lingua. Alexander si è laureato in un’università inglese.

In Italia molti genitori VIP che abitano in grandi citta’ optano per le scuole internazionali. In modo da dare ai figli la conoscenza fin da subito della seconda lingua. Ti sembra una buona mossa?

Le scuole internazionali rispondono all’esigenza, sentita da molti genitori, di offrire uno sbocco più vasto ai propri figli. Ma non è detto che le scuole internazionali siano migliori di quelle tradizionali. Ti permettono fin da giovane di padroneggiare una seconda lingua e questo è un punto di forza. Pero’ si possono far frequentare scuole tradizionali e poi facilitare l’apprendimento di un secondo idioma con lezioni a pagamento con insegnanti madrelingua.

Come si stimola l’intelligenza in un figlio? Una ricerca pubblicata su The Economic Journal mostra che c’è una correlazione diretta tra numero di libri che circolano in casa e il successo anche in termini di carriera dei propri figli.

Non è tanto la disponibilità di libri sullo scaffale che fa la differenza, ma l’utilizzo che se ne fa. Personalmente ho sempre coltivato in Alexander il piacere di leggere. La lettura regala riflessione, distrazione, evasione e approfondimento: le possibilità sono infinite. Già da piccolo, ad Alexander leggevo molti libri. In fondo gli stavo comunicando che imparare è una cosa bella e che appropriarsi di conoscenze era importante.

I figli capiscono l’importanza che in una famiglia si da’ all’educazione e alla voglia di informarsi: se questi sono valori forti per i genitori, spesso i figli vengono contagiati da questo entusiasmo per la conoscenza.

Se Alexander fosse cresciuto in Italia e non in Germania avrebbe avuto le stesse chance di successo che ha avuto ad Amburgo prima e a Cambrige poi?

Non abbiamo la controprova, ma alla fine credo che avrebbe trovato la sua strada; l’unica differenza se avesse fatto le scuole in Italia è che una volta laureato probabilmente sarebbe stato costretto ad emigrare. E se avesse fatto le scuole dell’obbligo e le superiori in Italia forse Alexander non si sarebbe laureato a Cambridge e avrebbe perciò frequentato un’università italiana.

Alessandro Hermes e Lucia Incoccia Hermes
Alessandro Hermes e Lucia Incoccia Hermes, la laurea a Cambridge

Noi lo avremmo comunque stimolato a fare esperienze all’estero e l’università avrebbe fatto comunque un lavoro di livello, visto che nel campo della ricerca molte università italiane sono ancora ottime. Sfornano dei bravi ricercatori.

Lauree come fisica, chimica e biologia possono trovare all’estero degli sbocchi molto interessanti. Sono tantissimi i progetti in corso per le applicazioni in campo bio-medico sia a livello pubblico sia a livello privato.

Sono sempre di piu’ i giovani italiani che nel campo della ricerca si trasferiscono in Germania, in Inghilterra, in Francia e nel Nord Europa; ci sono diversi paesi in Europa dove si fa scienza ad altissimo livello. Il problema è che questi giovani ricercatori italiani che vanno all’estero difficilmente poi rientrano in Italia. Ci stiamo facendo scappare troppi giovani di talento in Italia.

Ti sei sacrificata molto per crescere tuo figlio Alexander?

Crescere un figlio è una missione. Ho fatto tutto in modo naturale, da quando gli leggevo i libri da piccolo, alle gite fuoriporta, ai dibattiti in famiglia. Non ho pianificato niente a tavolino. Con mio marito, non abbiamo fatto nessun piano strategico. Alexander è cresciuto con le sue idee e alla fine ha scelto la sua strada, non la nostra: dopo la laurea in chimica, in modo per noi abbastanza sorprendente, ha scelto di non occuparsi di ricerca ma di internet.

 

Clicca sulla freccia se vuoi ascoltare l’intervista con Lucia Incoccia Hermes

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