È uno dei prodotti più diffusi nel risparmio gestito italiano, ma per molti investitori resta poco chiaro. La gestione patrimoniale: come funziona davvero? Si potrebbe pensare a un servizio professionale e personalizzato, ma nella realtà la gestione patrimoniale segue spesso logiche standardizzate e presenta costi non sempre evidenti.
Con la gestione patrimoniale il cliente delega a un intermediario autorizzato tutte le decisioni di investimento, che dovrebbero rispettare il suo profilo di rischio e il mandato firmato. Ma quali vantaggi offre davvero questo servizio? E quanto costa nel concreto? In questo approfondimento analizziamo in modo indipendente la gestione patrimoniale, spiegandone il funzionamento reale, i pro e i contro e i costi per aiutarti a valutarne la reale convenienza.
COS’E’ LA GESTIONE PATRIMONIALE?
La gestione patrimoniale è un contratto con cui il risparmiatore affida i propri capitali a un intermediario autorizzato – una banca, una SIM o una SGR – delegandogli il compito di amministrare e investire il patrimonio. Con il mandato di gestione patrimoniale l’intermediario non può agire liberamente: deve costruire e gestire il portafoglio in base al profilo di rischio del cliente, definito tramite il questionario MIFID, uno strumento obbligatorio che rileva obiettivi, esperienze finanziarie, orizzonte temporale e capacità di sopportare eventuali perdite.
Con la sottoscrizione della gestione patrimoniale, il risparmiatore conferisce un vero e proprio mandato di gestione, cioè una delega formale che autorizza il gestore a prendere decisioni operative senza dover richiedere ogni volta il consenso del cliente. Spetta quindi al gestore scegliere cosa acquistare e cosa vendere, in quali momenti intervenire e quali strumenti utilizzare, sempre nel rispetto dei limiti fissati dal contratto: livello di rischio, categorie di strumenti consentiti, obiettivi di rendimento e vincoli specifici eventualmente indicati dal cliente.
Questa delega comporta un cambiamento importante: il risparmiatore non controlla più direttamente le singole operazioni, ma valuta la gestione nel suo complesso attraverso la rendicontazione periodica. Per questo motivo, prima di aderire a una gestione patrimoniale è essenziale verificare che l’intermediario sia effettivamente autorizzato a prestare il servizio e che il mandato sia chiaro, trasparente e coerente con le reali esigenze del cliente. Una gestione patrimoniale è a tutti gli effetti un servizio professionale: sapere a chi si sta affidando il proprio capitale è il primo passo per tutelarsi.
IL RISCHIO DI UNA GESTIONE PATRIMONIALE? DIPENDE
Le gestioni patrimoniali vengono in genere proposte come prudenti, bilanciate o aggressive, ognuna con una diversa composizione di strumenti finanziari: più obbligazioni nelle gestioni prudenti, più azioni in quelle aggressive e una ripartizione intermedia nelle bilanciate. Dopo il rialzo dei tassi d’interesse del 2022 e l’applicazione più rigorosa delle norme MIFID II ed ESMA, molti intermediari hanno aggiornato i profili di rischio, poiché anche portafogli obbligazionari oggi possono mostrare oscillazioni più elevate rispetto al passato.
Il rischio effettivo dipende però dalla natura dei fondi utilizzati: obbligazionari con lunga durata, fondi emergenti o multi-asset flessibili possono aumentare la volatilità anche in gestioni etichettate come “conservative”. Per questo la distinzione prudente/bilanciato/aggressivo è oggi meno lineare e richiede di valutare gli strumenti presenti in portafoglio, più che la semplice classificazione commerciale.
LE TIPOLOGIE DI GESTIONI PATRIMONIALI
Esistono due principali tipologie di gestione patrimoniale: GPM e GPF, che si differenziano per gli strumenti utilizzati e per la struttura dei costi.
La GPM – gestione patrimoniale mobiliare – investe il capitale del cliente direttamente in titoli quotati, come azioni, obbligazioni, ETF e altri strumenti negoziabili sul mercato. È una formula in teoria più trasparente, perché il cliente conosce esattamente i titoli detenuti in portafoglio e sostiene solo i costi della gestione più eventuali spese di negoziazione. La qualità e l’efficienza della gestione dipendono molto dalla capacità del gestore di selezionare titoli individuali o ETF coerenti con il profilo di rischio.
La GPF – gestione patrimoniale in fondi – investe invece esclusivamente in quote di fondi comuni e SICAV, che a loro volta sono gestiti da SGR. In questo caso il portafoglio del cliente è costruito attraverso “blocchi” già preconfezionati. Le SGR raccolgono il patrimonio di più risparmiatori e lo gestiscono come un unico fondo; chi sottoscrive una GPF quindi detiene fondi che investono in strumenti sottostanti. Questa struttura può migliorare la diversificazione, ma spesso comporta costi aggiuntivi legati alle commissioni dei fondi stessi.
Inoltre, negli ultimi anni si sono diffuse anche forme di gestione patrimoniale “digital” o automatizzate, nate per intercettare una clientela più ampia con soglie di ingresso più basse (anche 10.000–20.000 euro). Si tratta di servizi che utilizzano portafogli modello standardizzati replicati automaticamente per migliaia di clienti con profilo simile. Rispetto alle gestioni tradizionali hanno costi più contenuti, ma anche un livello di personalizzazione ridotto e decisioni d’investimento fortemente centralizzate dai comitati di investimento interni.
I VANTAGGI DELLE GESTIONI PATRIMONIALI
Rispetto al “fai da te”, le gestioni patrimoniali offrono in genere una maggiore diversificazione del capitale (soprattutto nelle GPF, che utilizzano fondi e SICAV), un controllo del rischio più strutturato e un minore coinvolgimento emotivo nelle scelte di investimento. Con le gestioni patrimoniali Il cliente delega le decisioni operative e riduce così il rischio di reazioni impulsive nei momenti di volatilità. La profilatura tramite questionario MIFID consente inoltre di costruire un portafoglio coerente con la tolleranza al rischio, gli obiettivi e l’orizzonte temporale del risparmiatore.
Il gestore è tenuto a rispettare scrupolosamente il mandato firmato: in caso di gestione infedele o operazioni non coerenti con i limiti stabiliti, il cliente può agire legalmente contro l’intermediario e chiedere il risarcimento degli eventuali danni subiti.
Ogni istituzione finanziaria dispone infine di team specializzati di risk manager, che monitorano costantemente l’esposizione ai mercati, i rischi di concentrazione e la coerenza del portafoglio, sia a livello delle singole posizioni sia dell’insieme della gestione.
Quanto vale? la rendicontazione nelle gestioni patrimoniali
Oggi quasi tutte le gestioni patrimoniali sono consultabili anche online tramite home banking o app. La vera novità degli ultimi anni è la rendicontazione ex-post dei costi e delle performance, introdotta da MIFID II e pienamente operativa dal 2023.
Ogni anno il cliente riceve un documento che indica:
– il valore aggiornato del portafoglio;
– la composizione;
– il confronto con il benchmark;
– tutti i costi sostenuti, sia espliciti che impliciti;
– l’impatto dei costi sul rendimento.
Grazie a a questa novità infatti, molti risparmiatori oggi scoprono per la prima volta l’effetto dei costi sul rendimento di lungo periodo.
GESTIONE PATRIMONIALE: COME FUNZIONA?
Il cliente conferisce all’intermediario un mandato di gestione discrezionale. In cambio di una commissione annua, la banca o la SIM affida la gestione del patrimonio a un team di professionisti interni, che prende le decisioni di investimento nel rispetto del profilo di rischio e delle linee guida previste dal mandato. L’obiettivo dichiarato è la crescita del patrimonio nel tempo, attraverso l’allocazione su diverse asset class e mercati.
La gestione è presentata come altamente personalizzata. In teoria ogni portafoglio è costruito su misura. In pratica, negli ultimi anni la maggior parte degli operatori utilizza portafogli modello identici per molti clienti con profilo simile, una scelta legata a efficienza operativa e costi.
“Molti investitori credono che le loro gestioni siano personalizzate. A volte sono indotti a crederlo anche perché, per molti addetti commerciali, ‘patrimoniale’ è sinonimo di personalizzazione”, spiega Claudio Morici nel libro ‘I miei soldi’, edito da Il Sole 24 Ore. “Tutto ciò non è affatto vero, se non per casi eccezionali sopra i 5 milioni di euro.”
Il successo delle gestioni patrimoniali
La maggior parte delle gestioni patrimoniali non offre risultati sistematicamente superiori a alternative più semplici e meno costose come ETF o fondi indicizzati, e spesso il risparmiatore paga commissioni elevate per una trasparenza che resta limitata. Certamente nulla vieterebbe di inserire in una gestione patrimoniale strumenti low cost come azioni, obbligazioni e ETF, ma pochissimi intermediari lo fanno facendo lievitare i costi inserendo fondi comuni di investimento, così il cliente paga due volte la commissione on top e il costo dei fondi.
In molte situazioni, i costi complessivi (commissioni di gestione, costi dei fondi sottostanti e performance fee) erodono in modo significativo i rendimenti rispetto a soluzioni passive o fai-da-te, rendendo difficile giustificare il maggior prezzo pagato senza un valore aggiunto proporzionale.
Il successo commerciale delle gestioni patrimoniali deriva in gran parte dalla forza delle reti di vendita, dalla percezione di un servizio “chiavi in mano” e dalla domanda crescente di servizi delegati da parte di investitori che preferiscono affidare completamente la gestione dei loro patrimoni piuttosto che assumersi il rischio e l’impegno del fai-da-te. Inoltre, in Italia l’industria del risparmio gestito continua ad attirare capitali: secondo i dati recenti il patrimonio complessivo del risparmio gestito italiano ha raggiunto circa 2.631 miliardi di euro nel 2025, con afflussi significativi nelle gestioni di portafoglio e strumenti gestiti dai principali asset manager locali e internazionali.
In sintesi, mentre il risparmio gestito nel suo complesso continua a crescere e a raccogliere risorse da investitori italiani, la convenienza e il valore reale delle gestioni patrimoniali rispetto a soluzioni più semplici e meno costose restano un punto critico da analizzare con attenzione, soprattutto alla luce dei costi e del fatto che molte alternative a basso costo oggi disponibili sul mercato offrono rendimenti competitivi con un profilo di rischio più trasparente e comprensibile.
I CONFLITTI DI INTERESSE NELLE GESTIONI PATRIMONIALI
Nelle GPF (gestioni patrimoniali in fondi) il guadagno della banca può essere doppio: da un lato la commissione applicata per la gestione patrimoniale, dall’altro le commissioni di gestione dei fondi della stessa banca o del gruppo in cui confluisce il capitale del cliente. Quando la gestione patrimoniale investe quasi esclusivamente in fondi “di casa”, la qualità delle scelte si riduce: non si selezionano i migliori strumenti disponibili, ma quelli più remunerativi per l’intermediario. Il risultato è un portafoglio meno efficiente e spesso più costoso, soprattutto se costruito interamente con classi retail.
Per arginare questi comportamenti, la Consob ha limitato da tempo il cosiddetto “inducement”, ossia l’addebito al cliente di una doppia commissione per lo stesso servizio. Tuttavia, nella pratica il rispetto della norma è disomogeneo: alcune gestioni utilizzano fondi con costi elevati o non ristornano le retrocessioni percepite. Le gestioni patrimoniali più corrette adottano invece fondi in classe istituzionale – molto meno costosi – oppure restituiscono integralmente le retrocessioni, riducendo l’onere complessivo per il cliente. Ma certo anche un fondo istituzionale costa di gran lunga più di un ETF.
Un rischio di conflitto di interesse esiste anche nelle gestioni patrimoniali mobiliari (GPM), che investono in titoli diretti. In questi casi l’intermediario potrebbe privilegiare strumenti finanziari emessi dalla banca stessa o da società del gruppo – come obbligazioni, certificati o prodotti strutturati – sui quali percepisce margini più elevati rispetto a titoli equivalenti presenti sul mercato. In altre situazioni, la banca può essere incentivata a effettuare un numero elevato di operazioni per generare maggiori commissioni di negoziazione, aumentando i costi per il cliente senza un reale beneficio in termini di rendimento. Anche nelle GPM, quindi, la qualità della gestione dipende molto dal reale allineamento di interessi fra gestore e risparmiatore e dalla trasparenza sulle scelte compiute.
LE GESTIONI PATRIMONIALI MULTI MANAGER
Le GPF “multi manager” nascono con l’obiettivo dichiarato di ampliare il ventaglio di strumenti utilizzati, selezionando fondi gestiti da più case di investimento e non solo dalla società del gruppo bancario. In teoria, questo approccio dovrebbe garantire una maggiore diversificazione e una selezione più meritocratica dei prodotti, scegliendo i gestori ritenuti migliori per ciascuna asset class. Nella pratica, però, la reale libertà di scelta è spesso più limitata: molti intermediari stipulano accordi commerciali e partnership preferenziali con alcune case di gestione, che di fatto orientano la composizione del portafoglio verso fondi “amici” o distribuiti con condizioni più vantaggiose per la banca.
Il fenomeno delle gestioni patrimoniali multi manager riduce la trasparenza per il cliente, che crede di avere un portafoglio costruito in base a criteri puramente qualitativi, mentre parte delle scelte deriva da incentivi commerciali, retrocessioni o obiettivi di collocamento interni. Non è raro vedere gestioni multi manager che, pur potendo investire in centinaia di fondi disponibili sul mercato, finiscono per utilizzare un insieme ristretto di prodotti riconducibili al gruppo o a partner commerciali consolidati.
Come ricorda Claudio Morici nel suo libro, «Se la vostra banca vi propone una gestione fatta solo, o quasi, con i suoi fondi, fuggite»: un portafoglio costruito con fondi esclusivamente “di casa” riduce la diversificazione reale e aumenta il rischio di pagare costi più elevati senza un corrispondente valore aggiunto nella gestione.
>>Fidarsi della banca per i consigli per investire. È la scelta giusta?<<<
Nel nostro lavoro di check up dei portafogli analizziamo proprio questi aspetti: costi, qualità dei fondi, sovrapposizioni e reale valore aggiunto della gestione.
GESTIONI PATRIMONIALI: I COSTI
I costi di una gestione patrimoniale sono altamente variabili, ma è possibile fare delle stime. Affidarsi a una gestione patrimoniale significa prima di tutto pagare una commissione annua: di solito 0,8–1% per le gestioni obbligazionarie e 1,2–2% per le gestioni azionarie. A questi si aggiungono eventuali costi di negoziazione e le commissioni dei fondi sottostanti (nelle GPF).
Con la rendicontazione MIFID II ex-post molti risparmiatori scoprono per la prima volta che il costo totale di una GPF può superare il 3–4% annuo, considerando la somma di:
– commissione di gestione;
– TER dei fondi;
– retrocessioni trattenute;
– costi impliciti derivanti dal turnover.
Il confronto con il “fai da te” evidenzia spesso differenze notevoli: l’acquisto diretto di titoli tramite banche online ha costi molto inferiori rispetto alle GPM.
LE COMMISSIONI DI PERFORMANCE NELLE GESTIONI PATRIMONIALI
Le commissioni di performance vengono applicate quando la gestione supera il benchmark di riferimento e rappresentano, almeno in teoria, un incentivo per il gestore a creare valore aggiunto. Tuttavia, le nuove linee guida ESMA hanno introdotto requisiti molto più stringenti: applicazione del metodo high-watermark (la commissione si paga solo quando viene superato il massimo storico del portafoglio), utilizzo di benchmark coerenti con la strategia dichiarata e adozione di un periodo di osservazione minimo pluriennale per evitare remunerazioni legate a risultati casuali o a volatilità di breve periodo. Nonostante il quadro normativi più rigido sulle performance fee delle gestioni patrimoniali, le commissioni di performance restano ampiamente diffuse, soprattutto nelle gestioni tradizionali e nei mandati che utilizzano fondi attivi.
Il problema principale è che nelle GPF (gestioni patrimoniali in fondi) la commissione di performance si somma ai costi già presenti nei fondi sottostanti. Molti fondi attivi applicano spese di gestione comprese tra l’1% e il 3% annuo, a cui si aggiunge la commissione della gestione patrimoniale vera e propria e, in alcuni casi, ulteriori costi operativi o di negoziazione. Questo genera una struttura di costi cumulativi molto pesante, che può erodere una parte significativa del rendimento e rendere difficile per il cliente ottenere performance realmente competitive rispetto a soluzioni più efficienti, come ETF o fondi indicizzati, privi di commissioni di performance e caratterizzati da costi molto più contenuti.
LA TASSAZIONE DELLE GESTIONI PATRIMONIALI
La tassazione delle gestioni patrimoniali funziona in modo diverso rispetto al “fai da te”. In regime di gestione individuale, infatti, l’intermediario calcola a fine anno il capital gain maturato sull’intero portafoglio e addebita automaticamente le imposte al cliente. Questo sistema di tassazione “per maturato” può risultare meno flessibile, perché si pagano le imposte anche in assenza di un effettivo realizzo, ma garantisce una gestione fiscale completamente delegata.
Uno dei principali vantaggi della gestione patrimoniale riguarda la compensazione integrale tra plusvalenze e minusvalenze generate da qualunque strumento presente nel portafoglio: azioni, obbligazioni, ETF, derivati, fondi, ecc. Questo aspetto è spesso rilevante per il cliente, perché fuori gestione alcune minusvalenze – come quelle derivanti da fondi e SICAV – non sono compensabili con plusvalenze ottenute su altri strumenti, creando inefficienze fiscali difficili da ottimizzare autonomamente.
La normativa italiana su capital gain e minusvalenze resta articolata e soggetta a continue interpretazioni, e in alcuni casi le polizze finanziarie (unit linked) possono offrire un trattamento fiscale più efficiente: tassazione solo al riscatto, compensazione interna automatica e differimento dell’imposta nel tempo. Tuttavia, questi vantaggi vanno sempre confrontati con i costi elevati, i vincoli contrattuali e la minore trasparenza tipici delle strutture assicurative. Per questo motivo la scelta tra gestione patrimoniale, fai da te o polizza richiede un’analisi complessiva dell’intero portafoglio e dei reali benefici netti per l’investitore.
Ma se le gestioni patrimoniali deludono, perchè una marea di denaro ci si riversa?
Molti risparmiatori con patrimoni rilevanti tendono ad avere un approccio “conservatore”: preferiscono non cambiare intermediario e continuano a mantenere la gestione patrimoniale attiva, anche quando le performance sono deludenti o inferiori ad alternative più semplici e meno costose. Questo comportamento è ben noto alla finanza comportamentale. Subentrano diversi bias cognitivi, come l’avversione alle perdite e il sunk cost fallacy, che spingono a giustificare una scelta passata solo perché si è già investito tempo o denaro in quella relazione.
La dinamica è simile a una sorta di sindrome di Stoccolma finanziaria: molti investitori restano legati alle proprie gestioni patrimoniali perché cambiare significherebbe mettere in discussione decisioni pregresse, riconoscere eventuali errori e affrontare l’incertezza di un nuovo interlocutore. Chi possiede un patrimonio elevato spesso percepisce il cambiamento come più rischioso del rimanere fermi, anche quando i dati suggeriscono che la gestione patrimoniale attuale non stia generando valore. Così si continua a restare dove si è, più per ragioni psicologiche che per valutazioni oggettive di convenienza.
LE PERFORMANCE DELLE GESTIONI PATRIMONIALI: MOLTO FUMO, POCO ARROSTO?
A differenza dei fondi comuni, le performance delle gestioni patrimoniali non sono pubbliche. Non esiste un database che confronti gestori e risultati. Ogni gestione è individuale e l’unico confronto possibile è quello privato del singolo cliente.
Questo rende difficile valutare la qualità effettiva del gestore. Per questo motivo il supporto di un consulente finanziario indipendente è spesso utile prima di sottoscriverle o per verificare costi e convenienza.
Una gestione patrimoniale può avere lati positivi per chi non vuole occuparsi dei propri investimenti e cerca una delega totale. Ma è essenziale che costi, strumenti e reali benefici siano trasparenti. Il mercato sta evolvendo e ci auguriamo che la concorrenza premi sempre più la qualità e non solo il marketing.

