Il tema della criptovalute è fonte di molte discussioni. La discussione questa volta però non riguarda il suo valore economico bensì il consumo energetico del bitcoin a causa del dispendio energetico necessario per estrarlo.
Secondo lo studio realizzato da Kaveh Madani, dell’Università delle Nazioni Unite, e pubblicato sulla rivista Earth s Future, “La rete mondiale di mining di BTC ha consumato 173,42 TWh di elettricità durante il periodo 2020-2021, una cifra superiore al consumo di elettricità della maggior parte delle nazioni.”
Per tutti i motivi affrontati sopra, la criptovaluta attira, in epoca di crisi climatica, le feroci critiche del mondo ambientalista.
“Il processo minerario ha emesso oltre 85,89 Mt di CO 2 eq nello stesso arco di tempo, equivalenti alle emissioni causate dalla combustione di 84 miliardi di libbre di carbone o dal funzionamento di 190 centrali elettriche alimentate a gas naturale – scrive Kaveh Madani – L’impronta ambientale del mining di BTC non si limita alle emissioni di gas serra. Nel periodo 2020-2021, l’impronta idrica globale dell’estrazione di BTC è stata di circa 1,65 km 3, più del consumo idrico domestico di 300 milioni di persone nelle zone rurali dell’Africa subsahariana. L’impronta terrestre della rete globale di mining di BTC durante questo periodo era di oltre 1.870 chilometri quadrati, 1,4 volte l’area di Los Angeles. Questi numeri sorprendenti evidenziano la forte dipendenza della rete BTC dai combustibili fossili e dalle fonti energetiche ad alta intensità di risorse naturali, con conseguenti impronte ambientali importanti ma non monitorate e non regolamentate.”
IL CONSUMO ENERGETICO DEL BITCOIN E L’IMPATTO AMBIENTALE
Il Cambridge Bitcoin Electricity Consumption Index misura il consumo mondiale di elettricità generato dal mining di Bitcoin.
L’ultimo dato relativo ad agosto 2023 rivela che il consumo annuo del mining di Bitcoin dovrebbe essere di 113,22 TWh: si tratta di un consumo annuo di elettricità superiore a quello dei Paesi Bassi, ma inferiore ad esempio a quello dell’Argentina o della Norvegia.
Perché una moneta digitale dall’utilizzo così limitato riesce a consumare quanto una nazione di dimensioni medie? Il problema del consumo energetico del bitcoin sta tutto nel meccanismo alla base della creazione: il mining.
La creazione del bitcoin TRAMITE IL MINING
I bitcoin sono gestiti da un’enorme rete decentralizzata di computer. Per tenere traccia di tutte le transazioni e gli scambi, viene utilizzata la blockchain: un registro aperto e distribuito a chiunque può partecipare installando sul proprio computer il software che contiene la storia di tutte le transazioni dei bitcoin, e monitorando così automaticamente i vari passaggi di denaro che avvengono attraverso la blockchain.
Alcuni nodi svolgono però anche il ruolo di miner: il loro compito è quello di validare, sempre per via automatica, le transazioni che avvengono sulla blockchain, approvando ogni dieci minuti circa un nuovo “blocco” contenente al suo interno i dati relativi alle transazioni. È il processo noto appunto come mining.
Il fatto che chiunque possa teoricamente diventare un nodo della blockchain non significa che per minare i bitcoin basti un computer normale come quello che usate per lavorare, ma la competizione per arrivare primi e minare Bitcoin è molto elevata. E’ un processo quello del mining dei bitcoin che consuma molta energia perchè sono necessari computer potentissimi, progettati appositamente a questo scopo e poi collegati tra loro per aumentare ulteriormente la potenza di calcolo a disposizione.
Inevitabilmente, quando il valore dei bitcoin sale aumenta anche l’incentivo a investire in macchine più potenti, che diano maggiori probabilità di vincere la competizione con gli altri minatori digitali.
la Mongolia: stop al consumo energetico del bitcoin
Il costo maggiore per produrre Bitcoin è legato all’energia elettrica ed è questo che rende antieconomico in quasi tutti i Paesi europei (Italia soprattutto) il mining. E non a caso la maggior parte delle farm dedicate alla produzione di Bitcoin è in Cina e in Mongolia.
La Cina ospita circa il 75% della capacità mondiale di mining di bitcoin – o “hashrate” – grazie all’elettricità estremamente economica. Dal 2021 però il governo ha imposto un giro di vite e diverse società coinvolte nel mining di criptovalute hanno dovuto interrompere le proprie attività.
A maggio 2022 anche nella Mongolia Interna, una regione autonoma al confine settentrionale della Cina, dotata di elettricità a basso costo ha chiuso diverse società attive nel mining di criptovalute.
Bitcoin: una delle tante criptovalute
I bitcoin, per quanto dominanti, sono solo una delle tante criptovalute. Da Ethereum a Ripple, da Litecoin a Cardano, da Binance Coin a Tether: la lista è praticamente infinita.
E per quanto molte di queste siano l’equivalente digitale della carta straccia e moltissime altre non utilizzino il meccanismo del mining, il consumo di tutte le criptovalute escluso il bitcoin, secondo uno studio del 2019 del Politecnico di Monaco, supera i 180 terawattora l’anno, il 50% in più dei soli bitcoin: sommando tutto tra bitcoin e le sue 8000 sorelle siamo a un consumo energetico doppio rispetto ai pesi massimi sui social (Google, Facebook, Instagram, Twitter) e i canali top nella musica e nell’entertainment (Spotify e Netflix) messi insieme.