Che una banca cerchi di rifilare ai propri clienti prodotti finanziari più costosi ed eserciti pressioni sui propri dipendenti deputati al contatto con il pubblico per rifilare non i prodotti più convenienti della “casa”, ma per la casa, è purtroppo un fenomeno conosciuto. E che ha assunto in questi lustri nel settore finanziario il nome di “mal di budget” grazie alle denunce documentate in questi anni di molti casi di “risparmio tradito” da parte di poveri risparmiatori e bancari pentiti.
Che a rifilare qualche “pacco” sospetto ci si mettano pure la Poste Italiane non dovrebbe quindi stupire. Per quanto i pacchi di cui dovrebbe occuparsi questa società dovrebbero essere altri.
Ma si sa che da qualche lustro le Poste Italiane hanno preferito spostarsi verso business più redditizi come la gestione del risparmio e il settore assicurativo da cui traggono la maggior parte dei loro profitti e sono diventati una vera potenza grazie alle rete capillare sul territorio e un marchio fra i più familiari in Italia.
Dall’esame dell’ultimo bilancio al 2014 è facile, infatti, rilevare che i servizi postali contano (caso quasi unico al mondo ad eccezione di Nippon Yusei, le Poste giapponesi) meno del 14% del fatturato mentre i ricavi (e i profitti …
… veri) arrivano dai servizi assicurativi (la vendita delle polizze) e dai servizi finanziari.
Le Poste Italiane da portalettere si sono trasformati negli ultimi lustri in pusher finanziari (è il distributore italiano n.1 di prodotti finanziari ideati e prodotti da società terze), utilizzando l’enorme serbatoio di clienti (una clientela fatta soprattutto di pensionati e persone con cultura finanziaria molto modesta) e la rete capillare (13.000 sportelli nella Penisola) per collocare prodotti sempre più sofisticati e lucrosi per chi li colloca.
I vecchi buoni fruttiferi o i libretti postali (prodotti finanziari semplici ma che assicuravano piccoli guadagni a chi li collocava) sono stati sostituiti sempre più nel tempo da index linked, bond e prodotti strutturati e assicurativi sempre più complessi che hanno il vantaggio di generare per chi li colloca un margine di guadagno molto più grasso di un prodotto finanziario semplice grazie spesso al cosiddetto “mispricing”.
Una parolina apparentemente innocua che sta a significare nel settore finanziario il fatto che viene venduto a 100 quello che per esempio dovrebbe costare 96 se fosse applicato il giusto prezzo (“fair value” in inglese) e quei 4 sono la torta che si dividono i venditori, approfittando spesso dell’ignoranza finanziaria dei compratori.
Ma confesso che mi ha fatto un certo effetto vedere in queste settimane la Consob multare le Poste Italiane proprio “per violazione della disciplina sulla verifica della clientela e per conflitto di interesse nella vendita di prodotti emessi dalla società del Gruppo”.
Le Poste non sono un’azienda qualsiasi ma una società controllata dal Tesoro ovvero dallo Stato. Una società che si appresta a quotarsi in Borsa (e qui si potrebbe anche discuterne) e che è stata multata con motivazioni non proprio …
… di poco conto. E riguardano comportamenti non conformi al dovere di agire con diligenza, correttezza e trasparenza.
Secondo le indagini della società di vigilanza, tra il 2011 e maggio 2014, «in un contesto in cui il servizio di collocamento risultava focalizzato su prodotti emessi dalle società del Gruppo Poste e dunque già caratterizzato da una situazione di potenziale conflitto di interessi» Poste Italiane «ha compiuto scelte strategiche, riflesse nei documenti riguardanti la pianificazione commerciale ed i sistemi di incentivazione, tali da orientare, in assenza di adeguata valorizzazione degli effettivi bisogni della clientela, la propria attività di commercializzazione su specifici prodotti o categorie di prodotti (prevalentemente caratterizzati da elevate commissioni up-front)».
In sostanza Poste Italiane, per fare i propri interessi economici avrebbe condotto i suoi clienti verso l’acquisto di prodotti finanziari spesso inadeguati, trascurandone profilazione ed esigenze specifiche e costringendoli ad investimenti caratterizzati da robuste commissioni iniziali che l’istituto si mette subito in tasca.
In particolare, sottolinea la Commissione, “dagli accertamenti ispettivi è emerso il ricorso a disinvestimenti anticipati della clientela, anche di carattere massivo per il tramite di OPA buyback, strumentali alla utilizzazione delle risorse da essi rivenienti per l’acquisto di altri prodotti a budget in collocamento, determinando così un effetto sostituzione degli strumenti finanziari collocati presso gli investitori (switch), senza che si tenesse conto …
… delle esigenze degli investitori”.
Altro problema, «il costante e penetrante controllo delle performance di rete, tramite vari monitoraggi dei risultati e forme di pressione per raggiungere i budget».
In pratica l’autorità di controllo ha accertato che le Poste italiane facevano pressione a un numero nutrito di funzionari e impiegati allo sportello per vendere prodotti finanziari e assicurativi a go-go con incentivi legati ai budget. Ovvero quel meccanismo che prevede che ogni sportello o dipendente a contatto col pubblico deve raggiungere costi quel che costi un certo livello di produzione (ovvero di vendite). E tutto questo anche utilizzando forme di marketing scorrette o sommarie e ottimistiche profilazioni di clienti.
Una pratica purtroppo ben conosciuta nel settore finanziario e bancario e che si fonda sul far sottoscrivere e dichiarare al risparmiatore un profilo di rischio elevato tale da potergli vendere anche il prodotto più speculativo e rischioso per evitare poi grattacapi o l’impossibilità di collocargli un prodotto.
Secondo le risultanze dell’ispezione ben il 74,5% dei clienti del BancoPosta si classifica sui tre livelli più elevati di “esperienza e conoscenza” e soltanto il 5 % dei correntisti postali mostra conoscenze minime.
Dall’indagine Consob dell’8 agosto 2014, risultavano soltanto 330.000 i clienti su 900.000 ad avere un profilo di rischio che rispetta la direttiva europea MIFID (rapporto corretto tra chi vende prodotti finanziari e le competenze e la propensione al rischio della clientela). Addirittura il 91% della clientela con la licenzia media rientrerebbe tra i soggetti cui si potrebbero vendere prodotti più sofisticati. Ancora, da quanto diffuso sulla stampa, l’80% dei clienti sopra i 70 anni che hanno comprato una polizza index-linked avrebbero un orizzonte di investimento superiore ai 7 anni.
Altro che pensionati e piccoli risparmiatori con scarse competenze e conoscenze finanziarie, le Poste stando alle classificazioni derivanti dai questionari che hanno sottoposto alla propria clientela sono frequentate da speculatori quasi incalliti, matematici finanziari ed emuli di Gordon Gekko!
Una pratica non corretta quella dei questionari di profilazione “pompati” seguita da numerosi operatori finanziari e…
… che secondo la relazione di Banca d’Italia faceva parte anche dell’armamentario della rete commerciale delle Poste italiane.
Chi conosce come funziona il mondo del risparmio gestito e come “gira il fumo” non si sorprenderà di questo spaccato ma fa un certo effetto che la Consob dopo aver rilevato tutte queste cose poco carine abbia deciso di sanzionare le Poste per la cifra “mostruosa” di 60.000 euro. Che per una società come le Poste Italiane che gestisce una raccolta di risparmi di circa 500 miliardi di euro e fattura quasi 30 miliardi di euro all’anno è una cifra evidentemente simbolica. Meno di un buffetto. Quasi il minimo sindacale.
E nonostante i gravi rilievi emersi durante l’ispezione che alcuni giornali (Repubblica e Il Fatto Quotidiano) hanno pubblicato negli scorsi mesi, pubblicando degli stralci della relazione di Banca d’Italia che abbiamo ricordato.
“Le verifiche condotte hanno evidenziato che la società si avvale, nello svolgimento dei servizi di investimento, di meccanismi di pianificazione commerciale e di incentivazione del personale fondati sul perseguimento di specifici interessi ‘di business’ (prevalentemente declinati in termini di redditività) che, affiancati da rilevanti pressioni gerarchiche a tutti i livelli della struttura organizzativa, hanno determinato, a valle del processo distributivo…
…significative distorsioni nella relazione con la clientela”.
Come spiegare una sanzione così leggera si sono domandati in molti anche fra i non addetti ai lavori?
Ah, saperlo… A pensar bene (vogliamo vedere rosa) la Consob ha giudicato che le Poste italiane hanno cambiato totalmente registro (nell’ultimo anno è cambiato amministratore delegato e ora è diventato Francesco Caio al posto di Massimo Sarmi) fornendo garanzia che quello che è accaduto nel passato non succederà più (come cantava una vecchia hit di Claudia Mori), cambiando drasticamente le regole di classificazione della clientela e l’approccio commerciale.
In un comunicato seguito alla notizia della sanzione le Poste Italiane hanno replicato che «la vicenda riguarda la precedente gestione» e che l’entità delle sanzioni indica «la marginalità delle inadempienze riscontrate», avendo adottato «da tempo, su indicazioni di Consob condivise, i necessari correttivi».
Qualche riserva è stata avanzata da diverse associazione dei consumatori come per esempio il Movimento Difesa del Cittadino, che ha contestato le rassicurazioni dell’amministratore delegato di Poste Italiane, Francesco Caio, secondo cui i processi di vendita sono stati modificati d’intesa con la Consob. La Commissione ha infatti rifiutato l’accesso agli atti richiesto ufficialmente proprio da questa associazione al riguardo, per chiarire in che modo i…
… risparmiatori postali dovrebbero sentirsi nuovamente “sicuri”.
E in questa vicenda l’ufficio stampa di Poste Italiane ha naturalmente cercato di buttare acqua sul fuoco, ricordando che «Poste ha sempre considerato la cura degli interessi del cliente e il suo soddisfacimento, quali elementi fondanti del suo operato, costruendo negli anni un rapporto di fiducia con i cittadini che continuano a trovare in Poste, sulla base dei concreti risultati, un riferimento sicuro e trasparente per i loro risparmi».
Che qualche pacco di prodotti venduti come innocui e rivelatisi altamente tossici sia stato rifilato in passato dalle Poste ai propri clienti lo avevamo segnalato in passato (vedi qui). E la multa della Consob ci dice che non si è trattato di un caso isolato e non sempre il rapporto fra clienti e azienda è ispirato sulla massima correttezza e trasparenza.
Ora come è noto le Poste Italiane sono in procinto di quotarsi in Borsa, collocando azioni fino al 40% del capitale. E siamo curiosi a questo punto di vedere come verrà presentata ai futuri azionisti questa società. Se come una macchina per far soldi che detiene i risparmi di milioni di italiani e su cui in futuro come in passato potrà generare commissioni e profitti sempre più cicciosi grazie al collocamento di prodotti (e al cosiddetto “mispricing” unito alla capacità di collocare alla propria clientela grazie alla rete capillare di tutto e di più) per la gioia dei suoi azionisti.
E da quel che sappiamo, il nuovo amministratore delegato Francesco Caio, presentando qualche mese fa il piano strategico 2020 ha spiegato che fra gli obiettivi vi è proprio quello di aumentare i ricavi e gli utili dal settore della vendita di strumenti finanziari ai propri clienti.
Oppure se le Poste Italiane verranno presentate ai futuri azionisti come un ente quasi benefico che pone la trasparenza e la correttezza sopra tutto, si occupa e preoccupa dell’educazione finanziaria dei propri clienti e vende solo prodotti finanziari di cui si accerta se il sottoscrittore abbia capito bene il funzionamento, i costi palesi e occulti.