Investire in materie prime tramite fondi, Etf o Etc secondo un’analisi delle serie storiche passate può contribuire nel tempo a dare brio al patrimonio e ottenere maggiore diversificazione e decorrelazione. Ovvero guadagnare anche in periodi di alta inflazione o mercati azionari e obbligazionari in discesa. Ma la crisi finanziaria del 2008 ha dimostrato che nessun mercato (compreso quello delle commodity) può offrire un riparo sicuro in caso di tempesta perfetta.
Ed è presumibile che la correlazione fra materie prime e azioni tenda ad aumentare nel tempo per effetto della diffusione crescente di Etc e fondi specializzati in materie prime fra gli investitori retail e istituzionali.
E’ quindi consigliabile operare (con una parte limitata del proprio patrimonio) su questo mercato solo conoscendolo approfonditamente (consci dei pro ma anche dei contro sia di questo tipo di mercato che degli strumenti) e comunque affidandosi a strategie realmente attive con segnali non solo di entrata ma anche di uscita.
Investire IN materie prime conviene?
Fino a qualche tempo fa pochi risparmiatori avrebbero preso seriamente in considerazione questa possibilità. Oggi la stessa idea viene presa in considerazione da un numero crescente di risparmiatori. A favorire questo interesse certo il rialzo di questo comparto (l’indice CRB Commodity è salito quasi senza soste del 14% circa negli ultimi 3 mesi) ma anche il numero sempre più vasto di strumenti che consentono al piccolo risparmiatore di posizionarsi su questo mercato, una volta territorio quasi riservato esclusivamente a produttori e speculatori.
Il catalogo di strumenti per avvicinarsi a questo mercato è sempre più ampio. Non solo i “tradizionali” future trattati alle Borse di Chicago o Londra ma anche fondi d’investimento, certificati, covered warrant e sempre più Etc ovvero la versione “commodity” degli Etf. Fondi passivi che consentono di replicare l’andamento di un paniere di materie prime.
Ma è sensato per un risparmiatore investire in questo mercato (e come…) o è meglio lasciarlo agli addetti ai lavori? L’investimento in commodity è una classe d’investimento da prendere in considerazione come possibile diversificazione stabile e “seria” del proprio patrimonio o è solo l’ultima moda?
Investire nelle materie prime: le ragioni del boom
E’ di questi giorni il nuovo record del prezzo del petrolio degli ultimi 6 mesi, il top trentennale del prezzo dello zucchero come le quotazioni record di molte commodity: dall’oro all’argento, dal cotone al palladio. Basta guardare i grafici del settore per vedere come chi ha investito in questi anni in commodity (in metalli preziosi e più recentemente in cotone o grani) ha ottenuto una remunerazione assai elevata del capitale impiegato.
A favorire il boom delle materie prime diversi fattori e in particolare la forte domanda proveniente dalle economie di Paesi come Cina, India e Brasile in pieno boom economico ma anche demografico. Ma anche ragioni di capacità produttiva insufficiente per eventi atmosferici o politici. E sono diverse le ragioni che fanno ritenere a molti esperti la possibilità che questo trend sia destinato a durare. Per le materie prime agricole si evidenzia, per esempio, come l’aumento della popolazione mondiale non è controbilanciata da un aumento delle terre coltivabili.
La forza delle economie emergenti significa poi un aumento del reddito pro capite che se nel 2000 era inferiore ai 1000 dollari annui in Paesi come la Cina (!) si attende arrivare quasi a 5000 nel 2012. Una maggiore disponibilità di spesa che dovrebbe provocare un aumento dei consumi di carne e quindi di mangimi.
Investire nelle materie prime: lo zuccher0
Per quanto riguarda le cosiddette soft commodity, in particolare per lo zucchero, sono i forti investimenti, soprattutto in Brasile e negli Stati Uniti, fatti per incentivare l’utilizzo dell’etanolo a fini di produzione di energia. Investimenti spesso spinti dagli incentivi statali, in particolare nei Paesi in via di sviluppo. Il dato relativo alla produzione di etanolo può rendere l’idea dell’impatto che potrebbe avere sul prezzo dello zucchero. La produzione a livello mondiale prevista per il 2012 è di quasi 100 miliardi di litri contro i 70 miliardi circa del 2009. E questa tendenza proseguirà ancora nel futuro.
Insomma per quanto nel PIL mondiale la quota di servizi è sempre più rilevante senza l’”hard”, ovvero le materie prime, non si andrebbe da nessuna parte. Sarà pure il millennio dell’economia digitale ma senza petrolio, alluminio, rame e soprattutto mais, cotone, o cacao, non potremmo sopravvivere. Le aziende possono anche fallire (e il prezzo delle azioni andare a zero) ma le materie prime di base avranno sempre un mercato.Nel caso in cui il prezzo delle materie prime dovesse scendere sotto un livello minimo predeterminato, che non consente più al produttore di coprire i costi di produzione, si verificherebbe, infatti, un crollo tale delle offerte da far rimbalzare i corsi in una fase immediatamente successiva.
Una tendenza al rialzo che secondo gli esperti potrebbe durare per alcuni anni dato che il settore delle commodity sarà pure esposto all’instabilità dei mercati a causa della ciclicità della domanda ma è anche vero che aprire una miniera o avviare una coltivazione agraria su scala industriale non è qualcosa che si effettua in tempi brevissimi e le risorse naturali non sempre sono infinite.
Nel passato l’investimento in materie prime e soprattutto in metalli preziosi veniva considerato una destinazione interessante per gli investitori “pessimisti”. Ovvero per chi era alla ricerca di un approdo dove proteggersi maggiormente dall’inflazione e dalla debolezza dell’economia, puntando su beni “tangibili”. Oggi la possibilità di scommettere sull’andamento delle commodity (anche agricole) è sempre più pubblicizzata anche come investimento a lungo termine.
i rischi di investire nelle materie prime
Fra le motivazioni di inserire le commodity nel proprio portafoglio vi è certo poi il concetto sempre più diffuso che questa classe di investimento può aumentare la diversificazione del portafoglio grazie alla capacità nel tempo delle materie prime di essere decorrelate rispetto ad altre asset class in virtù della loro capacità presunta di non seguire direttamente l’andamento dei mercati azionari o obbligazionari soprattutto nei periodi di alta inflazione o di discesa dei mercati.
E va poi sempre ricordato che il mercato delle materie prime è basato soprattutto sui future ovvero contratti in cui le controparti si impegnano entro una certa data a scambiarsi un bene o a chiudere l’operazione con una di segno contrario e questo tipo di mercati è caratterizzato da due principali caratteristiche:
1) solo una piccolissima percentuale si chiude con scambi effettivi e quindi la stragrande maggioranza degli scambi è fondata sulla scommessa da parte degli operatori che partecipano a questo “gioco” di prevedere il prezzo futuro (o coprirsi da variazioni avverse come è la logica di chi opera su questi mercati per coprirsi);
2) nel mercato primario dei future è molto importante la leva finanziaria poiché con piccoli margini è possibile muovere controvalori di decine di volte superiori.
Il risultato di questo cocktail nel breve periodo può essere una fortissima volatilità dei prezzi con rialzi o ribassi violenti anche nello spazio di pochissime sedute in presenza di notizie sulle commodity ritenute dal mercato particolarmente rilevanti.
Come posizionarsi per investire in materie prime
Operare sulle materie prime è apparentemente sempre più un “gioco da ragazzi”. Mentre ai tempi di “Una poltrona per due” gli irresistibili Dan Aykroyd e Eddie Murphy nel film diretto da John Landis per comprare e vendere succo d’arancia e scommettere sulla produzione utilizzavano future trattati alla Borsa di Chigago, ora il catalogo di strumenti si è molto ampliato.
Per comprare petrolio o pancetta di maiale in grandi quantità e scommettere sul loro rialzo non è, infatti, necessario disporre di un magazzino e occuparsi dello stoccaggio. Tutto si è finanziarizzato (perfino i maiali vivi) ed esistono varie opzioni per replicare l’andamento di prezzo di una commodity.
Quando si parla di commodities ci si riferisce a contratti future, cioè a un impegno ad acquistare o a vendere, a una certa scadenza, una data quantità di una materia prima a un prezzo determinato. Inoltre, i contratti sono uniformati: risultano standardizzate quantità e qualità della materia prima, le fluttuazioni dei corsi, le scadenze. Tutto ciò fa sì che l’unica cosa su cui di fatto avviene la trattativa tra acquirenti e venditori sia il prezzo.
Per posizionarsi e scommettere sull’andamento delle materie prime si potrebbero anche acquistare azioni di società che operano nel settore collegato alle materie prime ma la storia dice che spesso questa non è una buona strategia. Per esempio alcune compagnie petrolifere e società minerarie limitano la loro esposizione alle commodity tramite l’impiego, per esempio, di contratti future, e questo rende difficile agli investitori conoscere il vero effetto che i prezzi delle commodity avranno sui prezzi azionari.
Uno studio di analisti americani (Gourton e Rouwenhorst) su un periodo di 41 anni ha anzi dimostrato che è maggiore la correlazione fra i titoli dell’indice S&P 500 con l’andamento dell’indice delle materie prime che quella delle società quotate nella cui attività una parte importante è legata all’andamento delle materie prime.
E’ quindi consigliato, per posizionarsi su questo mercato, se non si vuole operare direttamente sui future (qualcosa che è più consigliato agli speculatori a tempo pieno o agli istituzionali) guardare al mondo dei fondi d’investimento o degli Etf e certificati.
investire nelle materie prime con i fondi comuni di investimento
Nei fondi legati alle materie prime i gestori anziché acquistare le azioni delle società o le risorse vere e proprie, come l’oro o il grano, acquistano future, opzioni e altri strumenti finanziari in una combinazione che simula un indice di commodity. La parte non investita (e che può essere rilevante poiché la maggior parte degli investimenti effettuata è a leva) viene investita in titoli obbligazionari. In un fondo d’investimento legato alle materie prime il valore aggiunto dovrebbe essere dato dal gestore che con una strategia attiva dovrebbe scegliere i momenti migliori per entrare o uscire al fine di controllare maggiormente la volatilità e cavalcare meglio i guadagni. Scriviamo “dovrebbe” poiché questa gestione attiva dei fondi è qualcosa che come sappiamo tutte le società di gestione dichiarano di voler perseguire ma poi pochissime riescono a realizzare.Ragione per cui da oltre 10 anni forniamo ai privati risparmiatori consigli indipendenti per gestire al meglio il proprio patrimonio, suggerendo proprio cosa acquistare e vendere e soprattutto quando (su azioni, Etf, fondi e obbligazioni) con risultati che si sono dimostrati nettamente migliori sia come volatilità (nettamente più contenuta) che come rendimento.
La strumento sempre più trattato dai risparmiatori (anche italiani) per posizionarsi sul mercato delle materie prime è l’ETC. Si differenziano dagli ETF solo dal punto di vista giuridico (trattandosi nel caso degli ETC di fatto di una sorta di obbligazione zero coupon dove una parte è investita permanentemente a un contratto d’esposizione al sottostante) e a differenza dei future son titoli senza effetto leva e senza necessità di aprire e chiudere ogni trimestre (roll over) la posizione per riaprirla alla scadenza successiva. L’Etc si comporta quindi come una sorta di fondo d’investimento passivo che cerca di replicare l’andamento del prezzo di una commodity o di un paniere.
Uno strumento semplice e trasparente come viene pubblicizzato dagli emittenti? Esageruma nen, direbbero in Piemonte. Le problematiche di un ETC vanno, infatti, conosciute visto che esistono e possono in alcuni casi diventare anche rilevanti come l’impatto sul prezzo.
Per esempio va sempre ricordato che i mercati più importanti delle commodity utilizzano come valuta di riferimento il dollaro e quindi ci si espone a un rischio valuta (un inconveniente a cui alcuni ETC lanciati hanno posto un rimedio).
Quindi normalmente se il dollaro si deprezza del 20% e il petrolio o l’oro salgono del 20% chi detiene quelli Etc non guadagnerà nulla se non ha attuato una strategia di copertura del rischio cambio. Ma le problematiche più tipiche di un ETC sono legate al fatto di replicare sostanzialmente un derivato. Se questo non è un gran problema per alcune commodity dove è presente un “phisical” questo può diventarlo nel caso di altri beni.
Ma soprattutto va ricordato che il sottostante futures di un ETC deve essere rinnovato dall’emittente (il detentore dell’ETC non deve fare nulla) ogni tre mesi e quindi implicitamente il prezzo dello strumento incorpora anche i costi di rinnovo (roll over) che impattano sia sull’ETC che sul future. E alla scadenza dei future si può verificare che il contratto su scadenza successiva valga più o meno di quello in scadenza (il cosiddetto effetto “contango” o “backwardation”): un apprezzamento o deprezzamento che si ribalterà anche questo sul prezzo dell’Etc come avremo modo di spiegare in un prossimo articolo per esaminare più approfonditamente le caratteristiche di questi strumenti.
le materie prime offrono una vera diversificazione e decorrelazione?
Nell’ultimo decennio sono numerosi gli studi accademici e non che hanno affrontato l’argomento come i fautori dell’investimento in commodity con in prima fila Jim Rogers, l’eccentrico ex socio di Soros e co-fondatore del Quantum Fund che da qualche anno promuove attivamente l’investimento in materie prime, avendo anche dato il nome a un indice specializzato (Rogers International. Commodity Index abbreviato comunemente con l’acronimo Rici).
Fra gli studi più completi sull’argomento quello commissionato dalla società Pimco nel 2006 alla società indipendente Ibbotson Associates con l’obiettivo di valutare proprio pro e contro di un investimento strategico nelle materie prime da considerare come un asset allocation da affiancare ad azioni ed obbligazioni.
Il risultato? Largamente favorevole a considerare l’investimento in commodity come qualcosa da inserire in portafoglio per i notevoli vantaggi offerti da questa assett class. La ricerca ha infatti evidenziato come nel tempo (il periodo di analisi ha toccato il periodo 1970-2004) detenere una quota di materie prime (l’esposizione in questo studio è stata ottenuta simulando di replicare l’andamento degli indici più rappresentativi come il GSCI, il Dj-Aig, il RJ-Crb e quello di Gorton e Rouwenhorst) avrebbe consentito di ottenere rendimenti elevati, diversificazione e decorrelazione rispetto alle altre asset class, una copertura contro l’inflazione e di una migliore gestione dei rischi / rendimenti in asset allocation strategica.
Nel corso del periodo 1970-2004 le materie prime hanno fornito, infatti, il più alto rendimento (superiore anche alle azioni Usa e pari al +12,38% annuo composto) ma anche offerto una sorta di ciambella di salvataggio nei periodi difficili, ovvero quando le azioni invertivano al ribasso la loro tendenza.
Ad esempio, nel periodo di 35 anni presi in esame Ibbotson, ci sono stati otto anni in cui le azioni Usa hanno prodotto rendimenti negativi ma chi avesse in quel periodo nelle materie prime avrebbe invece ottenuto il miglior ritorno positivo (+19% a fronte di un’inflazione del periodo del +6,27%). E questa decorellazione positiva è stata osservata anche nel biennio in cui i rendimenti obbligazionari sono stati negativi.
“Storicamente le commodity come una forma di assicurazione sul portafoglio e un’eccellente diversificazione” scrivono gli autori di questo studio.
Che arrivano a consigliare una percentuale di questa asset class di circa il 9% per i portafogli “conservativi”) e del 22-23% per quelli più aggressivi.
Tutto bene, allora? In realtà come ha ben scritto Ambroise Bierce nel “Dizionario del diavolo” quasi un secolo alla definizione di “sfortuna” vale ancora la sua spiegazione: il tipo di fortuna che non manca mai. Lo studio di Pimco era stato pubblicato nel 2006 e il 2007 segnava anche il lancio del primo fondo di questa importante società di gestione americana proprio nel comparto materie prime con il varo del Commodity Plus Strategy Fund.
Un fondo nato con l’obiettivo di cavalcare questo mercato tramite un’esposizione all’indice Dow Jones Ubs Commodity tramite derivati su materie prime con l’obiettivo di sfruttare “le inefficienze sul mercato”. Peccato che poi è arrivato il 2008. Fra i peggiori della storia anche per le commodity… alla faccia della decorrelazione storica di questo mercato. Un evento che ha significato per questo fondo (ma in realtà per quasi tutto il mercato) una discesa del 40% del valore della quota, dimostrando ancora una volta che fare troppo affidamento sulle performance del passato non è mai un sicuro indizio per il futuro.
Significativo in proposito un nuovo intervento sul tema di un gruppo di economisti americani (Bahattin Buyukahin, Michael S. Haigh e Michel A Robe) che sul “The Journal of Alternative Investments” dell’autunno 2010 (il saggio in inglese è scaricabile integralmente qui ) analizzavano ancora le correlazioni fra investimenti in azioni e materie prime, arrivando a conclusioni simile allo studio effettuato da Ibboston Associates per conto di Pimco ma con l’importante annotazione che proprio quando servirebbe di più la decorrelazione o diversificazione non si materializza… Anzi!
La “tempesta perfetta” del 2008 che si è abbattuta nei mercati finanziari e che ha visto il crollo quasi sincronizzato di tutti i mercati, dall’azionario all’obbligazionario, dalle materie prime all’immobiliare, dagli hedge fund all’arte ha, infatti, fatto un improvviso falò del concetto di “decorrelazione” del mercato delle commodity rispetto a quello azionario.


Tornando al 2008 basterà ricordare che l’indice RICI è passato dal massimo di 41,84 di inizio luglio a un minimo di 15,52 nel febbraio 2009. Un’escursione negativa del -63%! E fra le cause addotte dagli esperti in quei frangenti (se si vanno a rileggere i report di Goldman Sachs o Credit Suisse di quelle settimane) non solo la “liquidazione di posizioni a lungo sul mercato» oppure la diminuzione dell’attrattività del settore «alla luce della debolezza strutturale dell’economia mondiale» ma anche la “vulnerabilità alla speculazione” costituita non tanto da hedge fund e operatori professionali ma da comuni risparmiatori “entrati nel settore grazie alla crescente disponibilità di strumenti come Etf e Certificati che consentono un investimento diretto e senza costo” come adombrano alcuni studiosi (Robles, MiguelTorero, Maximo von Braun, Joachim) in uno studio scaricabile qui.
Insomma i risparmiatori come il ragionier Fantozzi capace di attirarsi la nuvola di pioggia anche nel più assolato deserto? Sarebbe poco corretto affrontare la questione in questi termini ma certo la storia finanziaria dimostra che più diminuisce l’avversione al rischio verso un mercato e maggiori sono le aspettative di “facili guadagni” maggiori sono invece i rischi di subire delle perdite anche violente. Quindi per quanto può essere interessante investire anche nel comparto del materie prime e può apparire un’idea strategica anche sensata se lo si fa con l’obiettivo di ottenere guadagni “facili” o sicura protezione in fasi di forti discese dei mercati è bene non farsi troppo illusioni.
Maggiore sarà il successo di questa “asset class” maggiori saranno anche i rischi di volatilità e performance negative.
Per questi motivi la nostra considerazione è che chi dispone soprattutto di patrimoni significativi nell’ordine di centinaia di migliaia di euro può certo valutare di diversificare anche sul mercato delle commodity tramite ETC o Fondi.
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Ma solo a patto di muoversi con una strategia di entrata ma soprattutto di uscita (e per questo abbiamo creato ad hoc dei servizi dedicati ai nostri clienti oltre che inserire già alcuni ETC o fondi di questo tipo nei portafogli “total return”) e con una conoscenza dei pro e contro di questo mercato (caratterizzato da tantissime variabili) e degli strumenti a disposizione spesso caratterizzati da meccanismi che possono rivelarsi molto penalizzanti per i risparmiatori che li acquistano a occhi chiusi.