Sta facendo molto discutere nel settore della consulenza finanziaria il documento a cura della Fondazione Nazionale dei Commercialisti intitolato “Il Commercialista e la consulenza finanziaria agli investimenti”.
Il motivo? Una condanna senza appello della stragrande maggioranza dei consulenti iscritti all’Albo, accusati di offrire “una consulenza in materia di investimenti strumentale al collocamento e alla negoziazione di strumenti finanziari presenti nel proprio catalogo prodotti. “
La remunerazione del “consulente-distributore” basata su incentivi (monetari e non monetari) sui prodotti venduti può pregiudicare secondo la Fondazione Nazionale dei Commercialisti “la correttezza e qualità dei consigli formulati” sia per “gli operatori che collocano esclusivamente propri prodotti, limitando perciò la consulenza ad una ristretta gamma di strumenti finanziari” sia per gli operatori “che offrono anche o esclusivamente prodotti di case terze, i quali tendono a privilegiare gli strumenti che implicano livelli commissionali più elevati e/o che garantiscono percentuali di retrocessione più consistenti.”
Promossi invece sia i consulenti autonomi sia le società di consulenza finanziaria (SCF) pagati a parcella e non con incentivi sui prodotti consigliati ai clienti perchè il loro rapporto è privo di qualsiasi conflitto di interesse.
“Il Regolatore comunitario e nazionale consapevole” si legge nel documento a cura della Fondazione Nazionale dei Commercialisti che il sistema di remunerazione basato sugli incentivi sui prodotti raccomandati “potrebbe alimentare un conflitto di interesse e non permettere di rispettare i principi di trasparenza e di correttezza di comportamento alla base del rapporto con l’investitore\risparmiatore, ha previsto il divieto ai Consulenti finanziari autonomi e alla Società di consulenza finanziaria a percepire commissioni ed incentivi di ogni natura.”
I consulenti autonomi e le SCF, società di consulenza finanziaria operano “in assenza di conflitti di interesse, di vincoli contrattuali o legami con emittenti o distributori” e sono “remunerati esclusivamente dai clienti al quale è reso il servizio”. Il consulente che presta consulenza su base indipendente -come previsto da MiFID II, l’ESMA e successivamente TUF e Regolamento Consob n.20307/201817- “valuta una congrua gamma di strumenti finanziari disponibili sul mercato, che devono essere sufficientemente diversificati in termini di tipologia ed emittenti o fornitori di prodotti in modo tale da garantire che gli obiettivi di investimento del cliente siano opportunamente soddisfatti; inoltre nel processo di selezione il numero e la varietà degli strumenti finanziari considerati siano proporzionati all’ambito del servizio di consulenza prestato, siano adeguatamente rappresentativi degli strumenti finanziari disponibili sul mercato e comprendono tutti gli aspetti d’interesse, quali rischi, costi e complessità, nonché le caratteristiche dei clienti in modo da assicurare che la selezione degli strumenti che potrebbero essere raccomandati sia obiettiva”.
Il consulente finanziario autonomo “deve necessariamente lavorare in condizioni di autonomia e indipendenza dagli organismi finanziari, come banche, ecc., e non può intrattenere con essi rapporti che ne compromettano l’indipendenza…è un professionista che opera in completa autonomia e indipendenza da qualunque intermediario, e per l’attività svolta viene remunerato direttamente dal cliente.“
Il consulente abilitato all’offerta fuori sede invece “svolge l’attività quale dipendente, agente o mandatario di un unico intermediario (banca, SIM o SGR) di cui promuove in esclusiva i prodotti ed i servizi finanziari.
Da ciò deriva inevitabilmente che, mentre il rapporto tra il Consulente Finanziario Autonomo (CFA) ed il suo cliente investitore è scevro di qualsivoglia conflitto di interesse (il CFA agisce nell’esclusivo interesse del proprio Cliente), il rapporto tra l’investitore e il Consulente finanziario abilitato all’offerta fuori sede è caratterizzato dalla circostanza che non potrà mai avere come scopo principale l’interesse del cliente dell’intermediario (o meglio dell’investitore, stante le peculiarità del rapporto), poiché deve rispondere del proprio operato alla banca o alla SIM o alla SGR sua mandante, che lo remunera solitamente in modo variabile e sulla base dei contratti che conclude. “
Se anche i commercialisti hanno un’anima, deve essere quella di un indipendente.
Dopo Milena Gabanelli e il suo Dataroom sui consulenti indipendenti che ha fatto infuriare l’industria, un’altra conferma forte di chi i conti … li conosce veramente su quali sono le differenze tra i vari tipi di professionisti che prestano consulenza finanziaria agli italiani mettendone a nudo i conflitti di interesse. E parteggiando apertamente per la consulenza indipendente. Quella vera, naturalmente.