Il nuovo divorzio all’italiana e il calcolo dell’assegno di mantenimento

Con le nuove regole decise dalle Sezioni Unite per la determinazione dell'assegno di mantenimento per mariti e mogli che vogliono divorziare sarà ancora più difficile prevedere ora non il se ma il quantum dell’assegno divorzile se lo scontro va in Tribunale

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Con la nuova pronuncia delle Sezioni Unite di luglio 2018, nuove regole per la concessione e quantificazione dell’assegno di mantenimento dopo il divorzio. I nuovi parametri per calcolare l’entità dell’assegno di mantenimento dopo il divorzio sono la durata del matrimonio, le potenzialità reddituali future del coniuge che richiede l’assegno e l’età del richiedente. Il tenore di vita goduto durante il matrimonio non conta più.

Una decisione che rispetto alla sentenza Grilli, torna a rafforzare la posizione dell’ex coniuge che, pur non producendo reddito da lavoro, si vedrà riconosciuto un ruolo nella formazione del patrimonio familiare e anche della ricchezza. Certo dimostrare in Tribunale quanto il coniuge che richiede l’assegno di mantenimento abbia contribuito alla formazione del patrimonio comune e personale dell’altro non sarà facile.

 

La madre di tutte le sentenze in tema di assegno divorzile

 

La sentenza 11504 della Corte di Cassazione del 10/05/2017 segna il nuovo corso in tema di assegno di mantenimento. E’ relativamente alla storia (personale e poi giudiziaria) di Lisa Lowenstein e dell’Ex Ministro Vittorio Grilli, che la Corte di Cassazione emette la sentenza che rivoluziona i rapporti patrimoniali tra ex coniugi. Questa sentenza spiega la ratio con cui la Corte d’Appello di Milano ha accolto la richiesta di Silvio Berlusconi di non versare più l’assegno divorzile da 1,4 milioni di euro al mese all’ex moglie Veronica Lario.

Con la sentenza Grilli il Tribunale ha sostituito il concetto di “mantenimento del tenore di vita” per il calcolo dell’assegno di mantenimento con quello di semplice supporto economico alle esigenze economiche dell’ex coniuge. 

Lisa Lowenstein, dopo il divorzio con Vittorio Grilli è tornata negli Stati Uniti. In una intervista al quotidiano La Repubblica ha raccontato delle sue difficoltà economiche di una vita da ex: “Mio padre, architetto, è morto senza lasciarmi eredità. Sopravvivo. Faccio qualche consulenza ad artisti per far fruttare il loro lavoro. E con quelli ci devo mantenere mia madre vedova e malata”.

 

la sentenza Grilli: fare le mogli non è sempre un lavoro riconosciuto in Tribunale

 

Lisa dice che sui giornali non la raccontano giusta (ma i legali dell’ex ministro Grilli sostengono che è Lisa che mente) “(leggo ndr) che il mio ex marito mi avrebbe dato due milioni di euro. Ma in realtà io ne ho avuti solo 500mila, poi più niente. Che è quanto guadagnano ogni anno i miei compagni di corso della London Business School, laureati con voti inferiori ai miei”.

Lei, invece, ha scelto di fare la moglie. “E in quel ruolo ho contribuito in modo determinante alla ricchezza e al successo del mio ex marito. L’ho sposato che era un ricercatore universitario, siamo cresciuti insieme. Fare la moglie e la madre è un lavoro e non riconoscerlo è assurdo. Io ci sono cascata e dopo questa sentenza scellerata temo toccherà a molte altre”. Infatti è toccato a Veronica Lario. E purtroppo toccherà anche tutte le donne non ricche e non famose.

Se in tribunale chi chiede l’assegno di mantenimento al coniuge non riesce a dimostrare che è oggettivamente impossibilitato a mantenersi, non ha più diritto a essere mantenuto a vita dall’ex anche se è molto ricco. Se anche si riesce a spuntare l’assegno di mantenimento, bisogna scordarsi il tenore di vita precedente. La rivoluzione è in due tempi: ammesso e non concesso che l’assegno venga dato, non potrà mai piu’ essere congruo rispetto al tenore di vita goduto durante il matrimonio.

 

assegno di mantenimento e tenore di vita

 

La Cassazione stabilisce nuovi parametri in materia di assegno di divorzio: conta il criterio dell’indipendenza o autosufficienza economica, non il tenore di vita goduto nel corso delle nozze per assegnare l’assegno divorzile al coniuge che lo richiede.

Essendo venuto meno il tenore di vita, è probabile che gli assegni top del passato restino un ricordo.

 

Con la sentenza Grilli la Corte di Cassazione decide che anche per le donne sposate che non lavorano

  • decade il diritto di ricevere per legge un assegno di mantenimento in caso di divorzio
  • decade il diritto di ricevere un assegno di mantenimento adeguato al tenore di vita di cui si godeva durante il matrimonio

 

Il tenore di vita goduto durante il matrimonio non è più un criterio significativo come avveniva nel più lontano passato per determinare l’assegno di divorzio. Il pronunciamento delle Sezioni Unite dell’11 luglio 2018 conferma su questo fronte la sentenza Grilli.

 

Il nuovo corso del divorzio all’italiana, per le donne che hanno deciso di non lavorare, potrebbe configurarsi come una penalizzazione di non poco conto sul piano economico.

 

Naturalmente riguardo la presenza di eventuali figli per l’assegno di mantenimento i criteri di questa sentenza non hanno effetto, perché questi fino al raggiungimento dell’autosufficienza economica hanno diritto di mantenere (se le risorse dei genitori lo permettono e con qualche privazione economica se la nuova situazione familiare lo impone) il tenore di vita  consentito dalle condizioni economiche dei genitori e, in particolare, quel tenore di vita di cui avrebbero goduto se i genitori non si fossero separati.

 

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“Meglio della sentenza Grilli, che poteva condannare molte casalinghe alla povertà in caso di divorzio, ma anche con questo nuovo pronunciamento della Cassazione, il Tribunale potrebbe riservare comunque brutte sorprese alle donne che fanno un passo indietro nella carriera per dedicarsi alla famiglia”. Così, Marzia Sperandeo, Presidente dell’Associazione Matrimonialisti Italiani per la Liguria, commenta l’atteso pronunciamento delle Sezioni Unite dell’11 luglio 2018 sui nuovi criteri di determinazione dell’assegno divorzile.

 

il coniuge debole e l’assegno di mantenimento

 

Chi della coppia è il coniuge debole che richiede l’assegno di divorzio? Quello tipicamente che non ha un reddito, avendo optato per stare a casa e occuparsi della famiglia, anziché lavorare.

 

Anche per gli uomini l’intervento delle Sezione Unite civili della Corte di Cassazione apre diversi punti d’incertezza.

 

In caso di separazioni difficili e sofferte c’è da aspettarsi tempi e costi più lunghi con le nuove regole sull’assegno di mantenimento con sorprese possibili per tutte e due le parti. Prima bastava quasi un foglio excel per calcolare l’assegno divorzile.

 

Assegno di divorzio: tanto più alto quanto maggiore è stato il contributo

 

“La scelta di uno dei due coniugi di stare a casa verrà considerata una decisione presa concordemente all’interno della coppia e nessun marito potrà invocare il fatto che una baby sitter e una colf sarebbero bastati per mandare avanti la famiglia e che il coniuge che richiede l’assegno di mantenimento deve essere liquidato con quattro spiccioli – chiarisce l’Avvocato Sperandeo – Certo dimostrare in Tribunale quanto stando a casa si è contribuito alla formazione del reddito anche personale dell’altro ai fini del calcolo dell’assegno di divorzio non sarà cosa facile. Perché tutto in Tribunale va dimostrato.

 

L’Avvocato Marzia Sperandeo, Presidente dell’Associazione Matrimonialisti Italiani per la Liguria

 

 

Prima della sentenza Grilli: divorzio e assegno di mantenimento moglie

 

Prima della sentenza Grilli (maggio 2017), che ha mandato in soffitta il criterio del tenore di vita nella determinazione dell’assegno di divorzio, la donna che decideva di rinunciare a fare carriera per la famiglia era molto tutelata.

Se si riusciva a dimostrare in Tribunale di aver goduto di un determinato tenore di vita – ricorda l’avvocato Sperandeo – era possibile vedersi riconoscere un assegno di mantenimento abbondante se il coniuge a cui veniva richiesto godeva di un patrimonio importante o il suo reddito da lavoro era elevato.”

Anche quando parte del patrimonio era nascosto “Dove magari il marito non dichiarava fino all’ultimo centesimo relativamente ai propri redditi, si potevano portare come prova in Tribunale le foto di case, vacanze, gioielli ricevuti, abiti costosi per dimostrare di aver goduto di un determinato tenore di vita – ricorda l’avvocato Sperandeo – E richiedere un assegno divorzile che permettesse al coniuge debole anche finito il matrimonio di poter continuare a vivere più che decorosamente.“

 

Assegno di divorzio: le novità della sentenza Grilli

 

Con la sentenza Grilli (che ora è stata in parte stemperata) cambiava tutto. In base a quella sentenza (di maggio 2017) l’assegno divorzile al coniuge richiedente doveva avere un unico scopo: quello assistenziale. Il coniuge richiedente l’assegno di divorzio, che dimostrava di non essere economicamente autosufficiente per ragioni oggettive, aveva diritto di ricevere l’assegno divorzile, ma questo non doveva essere più commisurato al tenore di vita goduto nel matrimonio. L’assegno, se fosse stata confermata totalmente quella sentenza, era il minimo sindacale.

In caso di divorzio, se fosse stata confermata in toto la sentenza Grilli dal punto di vista economico si salvavano le mogli che pur non lavorando, avevano beni intestati e proprietà, mentre tutte le altre rischiavano di affondare. Economicamente parlando.

 

il quantum dell’assegno divorzile: evitare le rendite parassitarie

 

Si citavano nelle motivazioni di questa sentenza pronunciamenti precedenti come la sentenza 11490 del 1990 in cui nel determinare il quantum dell’assegno di mantenimento in caso di divorzio si diceva che andavano evitate “rendite parassitarie e ingiustificate”, che occorreva un atto di responsabilità da parte del coniuge che richiedeva l’assegno di “attivarsi per realizzare la propria personalità nella nuova autonomia di vita” perché il matrimonio non poteva intendersi come “sistemazione definitiva”.

Leggendo le motivazioni di questa sentenza in cui all’ex signora Grilli non veniva riconosciuto dalla Cassazione l’assegno divorzile, si affermava il principio che l’ex che richiedeva l’assegno non poteva ostacolare la costituzione di una nuova famiglia e che il vincolo coniugale precedente andava in qualche modo reciso anche relativamente alle sue conseguenze patrimoniali.

 

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Sulla determinazione dell’assegno le disparità economiche tra i coniugi non dovevano essere prese in considerazione per determinarne l’ammontare. Se l’ex coniuge era economicamente indipendente, non doveva essergli riconosciuto il diritto di ricevere l’assegno di mantenimento e soprattutto questo assegno non poteva essere troppo alto perché altrimenti si sarebbe trattato di arricchimento (“locupletazione” nella sentenza) illegittimo. Tutto ruotava attorno al principio della autoresponsabilità nelle scelte esistenziali della persona.

 

sentenza Grilli: gli effetti sul calcolo dell’assegno divorzile

 

Questa sentenza Grilli prefigurava il peggiore dei mondi possibili per la donna che decideva di stare a casa – sottolinea la Presidente dell’Associazione Matrimonialisti Italiani per la Liguria – perché questo sacrificio non veniva prima minimamente riconosciuto. Donne che magari avevano rinunciato a una bella carriera per farsi una famiglia e permettere al marito di avanzare nel lavoro, si sarebbero trovate in caso di divorzio, se la sentenza Grilli fosse stata confermata, ad avere diritto al minimo indispensabile per vivere.”

Oltre al trauma del divorzio, quello della povertà. “Il criterio dell’autosufficienza economica – spiega l’avvocato matrimonialista Marzia Sperandeo – diventava nella sentenza Grilli dello scorso anno l’unico faro con cui decidere se il coniuge debole aveva diritto a ricevere l’assegno di divorzio. Che improvvisamente, indipendentemente dal patrimonio del coniuge che produceva reddito, diventava di taglia extra small. Le prime sentenze post Grilli che abbiamo visto determinavano assegni divorzili da 700 euro al mese a prescindere dal reddito del coniuge più forte. Con questa sentenza le donne casalinghe rischiavano in caso di divorzio di non vedersi minimamente riconosciuto in Tribunale il senso del loro sacrificio, dell’aver fatto un passo indietro sul lavoro per dedicarsi al marito e ai figli.

In un Paese in cui comunque ancora una donna su due non lavora si prefigurava con la sentenza Grilli uno tsunami economico e finanziario per l’altra metà del cielo in caso di divorzio.

Dopo questa sentenza, che è stata un vero terremoto giurisprudenziale, per un anno in Tribunale le sentenze da maggio 2017 sono state a macchia di leopardo. C’era molta incertezza sulle norme da applicare ed è stato chiesto un parere definitivo delle Sezioni Unite della Cassazione se applicare senza “se” e senza “ma” la sentenza Grilli a tutti i divorzi.

 

le nuove regole dell’assegno di mantenimento

 

L’11 luglio 2018 arriva il tanto atteso pronunciamento della Cassazione che riduce la portata della sentenza Grilli. “Questa nuova sentenza delle Sezioni Unite è più equilibrata perché stabilisce che l’assegno divorzile deve essere determinato in funzione di una serie di parametri – spiega Marzia Sperandeo – L’autosufficienza economica diventa uno degli elementi da prendere in considerazione per la determinazione dell’assegno di divorzio. L’assegno di mantenimento deve avere una funzione assistenziale, ma anche compensativa e perequativa. Quindi la donna che ha rinunciato a una carriera avviata, dovrebbe aver diritto a essere ricompensata dal punto di vista economico.

Come calcolare a quanto ha diritto il coniuge debole? “Per determinare l’ammontare dell’assegno divorzile da ora in poi occorrerà prendere in considerazione le rispettive condizioni patrimoniali dei due coniugi e tener conto del contributo fornito dal coniuge che richiede l’assegno alla formazione del patrimonio comune e personale, in relazione alla durata del matrimonio, alle potenzialità reddituali presenti e future del coniuge richiedente e alla sua età– spiega l’Avvocato Sperandeo – Quindi anche chi non ha rinunciato a una carriera avviata ma comunque è rimasta a casa a occuparsi di marito e bambini avrà diritto a un assegno divorzile”.

 

un assegno minimo di mantenimento per il coniuge debole? non più

 

Un passo avanti rispetto alla sentenza Grilli, perché laddove la decisione di rimanere a casa di uno dei due coniugi è stata concordata nella coppia, chi ha fatto il “passo indietro” non rischia di vedersi riconoscere un assegno di mantenimento minimo. Con due precisazioni. La prima è che il criterio del tenore di vita non vale più, quindi difficilmente rivedremo assegni milionari. La seconda è che il contributo dato dal coniuge che ha fatto il “passo indietro” sul lavoro alla formazione del patrimonio comune e personale dei coniugi è tutto da dimostrare in Tribunale.

 

Il demerito di questa sentenza, che almeno stabilisce che ogni coppia fa storia a sé e si deve valutare caso per caso, è quello di lasciare un’enorme potere discrezionale al giudice – avverte l’avvocato Sperandeo – e quindi bisogna essere molto chiari con i propri assistiti che il rischio di non vedersi pienamente riconosciuto il sacrificio fatto per la famiglia esiste.

 

Le donne prive di qualunque forma di reddito e con un marito che non guadagna cifre esorbitanti sono quelle che in caso di divorzio rischiano seriamente di non riuscire a vivere in modo minimamente dignitoso.

Per le altre che almeno hanno un marito benestante, certo il divorzio non le renderà più ricche, ma il “salto nel buio”, se il matrimonio è stato sufficientemente lungo, rischia di essere meno forte.

Bene quindi rispetto alla sentenza Grilli ma non benissimo. Per mariti e mogli che vogliono divorziare se lo scontro va in Tribunale sarà ancora più difficile prevedere ora non il se ma il quantum dell’assegno divorzile.

Salvatore Gaziano

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