“Dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna” ricorda l’ultimo libro della trentatreenne giornalista svedese Katrine Marcal. Dove il grande uomo è il padre della scienza economica, Adam Smith (Kirkcaldy 1723 – Edimburgo 1790) e la grande donna è sua madre, che gli faceva da serva.
Sì perche’ dietro al teorizzatore della “mano invisibile”, racconta la Marcal nel libro “I conti con le donne” (Ponte alle Grazie Editore), c’era un “cuore invisibile”, quello di una donna, che permetteva all’uomo di coltivare le sue teorie. Senza di lei, che si occupava dei panni sporchi, Smith non sarebbe passato alla storia come il padre dell’economia moderna.
Ma chi ci ha guadagnato e chi ci ha perso da questa ripartizione secolare dei compiti tra uomini e donne?
“Metà della popolazione mondiale vive con meno di due dollari al giorno. Queste persone sono in maggioranza donne…il 70% dei poveri del mondo sono donne”
Chi non ci ha guadagnato è piuttosto chiaro secondo la Marcal, che vuole riportare in primo piano il ruolo delle donne che la teoria economica classica ha oscurato per secoli: non riconoscendo né dando un valore monetario al lavoro di molte donne che dietro le quinte hanno mandato avanti il mondo cucinando, stirando e allevando figli.
Molte cose che l’economia considera assodate, come la teoria di Adam Smith che ognuno facendo i propri interessi contribuisca all’interesse collettivo, sono tutte da rivedere secondo la Marcal. Non solo queste teorie hanno provocato disastri, ma hanno dimenticato che l’altra metà del mondo, quella femminile, non agisce mossa dall’egoismo individuale. E cio’ che per secoli ci hanno mostrato che è perfettamente razionale ed efficiente, quindi sensato, anche da un punto di vista economico fa acqua da tutte le parti. Per esempio che la netta divisione dei ruoli produca efficienza. Sul lavoro e in famiglia.
Le faccende domestiche? Non sono roba da donne
“Nella sfera domestica è davvero razionale – si chiede la Markal – che uno dei due adulti si dedichi alla faccende di casa e l’altro unicamente alla carriera’?”. E’ davvero efficiente una suddivisione dei compiti di questo tipo? Quale incredibile vantaggio competitivo rispetto al maschio che lavora fuori casa – si chiede l’economista svedese – sviluppa una casalinga dopo 10 anni passati a far partire la lavastoviglie o a cambiare il sacco dell’aspirapolvere? La tesi della Markal è che questa specializzazione non rende più produttiva la famiglia nel suo insieme.
O tieni famiglia o ti tieni un lavoro
Grazie al lavoro la donna si è in parte affrancata dalle faccende domestiche, ma se ha una famiglia, ovvero un marito e dei figli, quasi sempre il conflitto casa-ufficio esplode. Molte non ce la fanno, come ha raccontato in una lettera al Corsera inviata al giornalista Beppe Severgnini una mamma lavoratrice.
La lettera ha avuto grande risalto sui media ed racconta della difficoltà di questa donna di conciliare l’ambito lavorativo con quello familiare “Ci ho provato, disperatamente, a conciliare le due cose – scrive questa donna sconfitta – Ho chiesto orari ridotti, mi sono avvalsa di tate, di aiuti di ogni genere, e per qualche tempo mi sono anche illusa di poter fare tutto. Ma la realtà è che è impossibile… ti senti sempre e costantemente sotto pressione… se è questo quello che volevano le donne quando lottavano per i loro diritti, beh, penso abbiano fallito…Non è possibile dover lavorare come matte per guadagnarsi la minima credibilità professionale e fare i salti mortali per tenere la gestione di una famiglia. Certo, i mariti aiutano, ma il loro apporto è sempre marginale…”
Donne, famiglia e lavoro: l’infelicità è dietro l’angolo
Molte donne che lavorano in un ambiente competitivo e hanno dei figli sono esasperate da questo doppio ruolo di professioniste e madri come racconta questa avvocatessa.
Le donne di oggi -documenta la Marcal nel suo libro “I conti con le donne”- sono meno felici delle loro madri meno emancipate
“Esistono studi che dimostrano che la donna occidentale, dopo gli anni Settanta, si è sentita meno felice. Indipendentemente dall’estrazione sociale, dallo stato civile, dallo stipendio, dal Paese di residenza o dal fatto di avere figli, la tipica donna occidentale (eccezion fatta per le afroamericane) è meno soddisfatta della propria vita. In compenso, il maschio è piu’ contento”
I conti non tornano, ma solo per l’altra metà del cielo
Come se ne esce da questo impasse casa-lavoro?
Con due concetti chiave che secondo me valgono da soli il libro della Markal che piacerà ai cultori dell’economia (magari non tanto ai liberisti assoluti) ma è accessibile a tutti i neofiti della materia.
Primo concetto “La donna è entrata nel mondo del lavoro, ma l’uomo non è entrato in quello domestico”. Tradotto: a casa da lui facciamoci aiutare di più.
Secondo concetto “Abbiamo allevato una generazione di donne terribilmente severe con se stesse”. Tradotto: siamo più indulgenti verso noi stesse
“Un’intera generazione ha frainteso l’intrepido slogan “Puoi essere tutto cio’ che vuoi” dandogli il senso di “Devi essere tutto, altrimenti non vali niente””
Tradotto: valiamo lo stesso, anche se non riusciamo a fare tutto. Anzi, facciamo meno: non possiamo pretendere come l’avvocatessa con due figlie che ha scritto al Corriere di lavorare e al contempo andare a prendere i figli all’uscita dalla scuola, giocare con loro, assicurare loro un sorriso costante e una parola indulgente e cucinargli una cena sana. C’è anche papà e soprattutto quando si lavora c’è anche il week end per stare insieme con i figli. In settimana si fa quello che si puo’. Senza inutili sensi di colpa.
I figli sono importanti ma non è rinunciando al lavoro che faremo necessariamente il loro bene. Avere una mamma che lavora secondo la Harvard Business School per i figli è meglio: avranno un lavoro migliore, maggiori possibilità di carriera e saranno pagati meglio. Vale la pena tentare di tenersi stretti entrambi: i figli ma anche il lavoro.