I fondi a scadenza o target (più correttamente “fondi target data”) sono sempre più proposti come soluzione d’investimento, ma i vantaggi reali spesso non coincidono con le promesse.
Sul nostro canale YouTube , il consulente finanziario indipendente di SoldiExpert SCF Marco Cini ne ha spiegato limiti e criticità in un video pubblicato durante questo 2025, e anche in questa analisi vogliamo offrirvi gli elementi utili per valutarli con consapevolezza.
Anche a livello internazionale, il tema è più che mai attuale. Secondo il report di Morningstar, “Target-Date Fund Landscape 2025“, le masse gestite da questi fondi hanno superato i 4 trilioni di dollari a fine 2024, con una crescita costante nell’ultimo decennio.
Tuttavia, la stessa analisi evidenzia come molte strategie target date non riescano a battere i rispettivi benchmark e presentino asset allocation sempre più simili tra loro, riducendo i vantaggi di una vera gestione attiva.
In questo contesto, come consulenti finanziari indipendenti, riteniamo importante fornire ai risparmiatori gli strumenti per valutare con consapevolezza questi prodotti, capire come funzionano davvero e perché – nonostante la loro popolarità – spesso si rivelano trappole mangiasoldi con l’illusione della cedola.
Cosa sono i fondi a scadenza
I fondi a scadenza nascono con l’obiettivo di far crescere e proteggere il capitale fino a una data prestabilita. Combinano azioni e obbligazioni in un’unica soluzione, modificando l’asset allocation nel tempo: più azioni nella fase iniziale, più obbligazioni man mano che si avvicina la scadenza.
In teoria, dovrebbero ridurre progressivamente il rischio del portafoglio e offrire maggiore stabilità nella parte finale dell’investimento. Nella pratica, però, i risultati sono spesso deludenti. Costi di gestione elevati, rigidità e durata limitata – in genere 5-7 anni – finiscono per ridurre il potenziale rendimento.
Molti fondi a scadenza vengono inoltre venduti con l’attrattiva della cedola periodica, ma in diversi casi queste cedole non provengono da reali guadagni, bensì dal capitale stesso, creando un’illusione di reddito. Per questo, come consulenti finanziari indipendenti, riteniamo che si tratti più di strumenti di marketing che di vere soluzioni d’investimento di lungo periodo.
FONDI A SCADENZA 2025: COSA DICONO GLI ULTIMI DATI
Secondo un’inchiesta pubblicata da Il Sole 24 Ore Plus l’11 ottobre 2025, i fondi a scadenza continuano a riscuotere un forte interesse tra i risparmiatori italiani, nonostante i costi medi elevati e i rendimenti deludenti di molti comparti.
La giornalista Marzia Redaelli sottolinea come questi strumenti vengano spesso percepiti come “obbligazioni diversificate”, ma non garantiscano in alcun modo il capitale investito e, in diversi casi, nascondano strategie complesse e rischi poco trasparenti.
Nell’articolo vengono citati esempi emblematici: il fondo Amundi Obbligazionario Alto Rendimento 10/2025 (ISIN: LU2028898166), in ribasso di circa il 7% nell’ultimo anno, con commissioni di gestione oltre l’1,3% e costi di sottoscrizione fino al 2,2%; o il Azimut Bond Target 2025 (ISIN: LU2097826932:), che nel suo scenario “moderato” ammette un rendimento netto atteso negativo, pari a –2,3% dopo i costi, pur continuando a raccogliere oltre 100 milioni di euro.
Come osserva Federico Pigatto di Consultique, nel contesto attuale «molti fondi a scadenza cercano di garantire rendimenti più elevati assumendo rischi maggiori», spesso puntando su obbligazioni high yield o mercati emergenti. A differenza dei fondi tradizionali, però, gli ETF a scadenza – lanciati a partire dal 2023 – offrono maggiore trasparenza, costi più bassi (anche dello 0,12%) e nessuna penale di uscita, caratteristiche che li rendono una valida alternativa per chi desidera una gestione più lineare e meno costosa.
Pertanto, anche dalle analisi più recenti emerge una costante: la promessa di rendimento dei fondi a scadenza spesso non regge alla prova dei fatti, e a fronte di complessità e costi elevati, il vantaggio per il risparmiatore rimane minimo.
Target data O FONDI A SCADENZA, ronzini con l’handicap
I mercati, nel lungo periodo, tendono a guardare al bicchiere mezzo pieno. E non a torto: la maggior parte delle aziende quotate ha dimostrato di saper generare utili anche attraversando fasi difficili. Secondo l’economista Robert Shiller, gli utili reali per azione sono cresciuti del 3,5% annuo negli ultimi 150 anni, motivo per cui l’investimento azionario si è rivelato una delle forme più redditizie per far fruttare i risparmi.
Chi investe con pazienza, mantiene un portafoglio diversificato e controlla i costi può ottenere risultati migliori nel tempo. Ma chi sceglie i fondi a scadenza parte spesso svantaggiato, perché questi prodotti sono gravati da costi ricorrenti e commissioni che pesano ogni anno sui rendimenti.
Nel mondo degli investimenti non c’è infatti nessuna evidenza che l’handicap, che molti prodotti del risparmio gestito fanno pagare ai partecipanti, generi migliori risultati per il risparmiatore. Anzi. Ed è ciò che accade per la maggior parte dei fondi d’investimento. Tramite costi ricorrenti più elevati e talvolta anche con costi aggiuntivi di ingresso e di uscita.
Tutte le ricerche ed evidenze statistiche dimostrano infatti il contrario: più spendi meno otterrai mediamente come rendimenti. E appunto il caso dei fondi d’investimento a scadenza (i cosiddetti “target data” o fondi target) ne è un ottimo (o pessimo) esempio.
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Fondi A SCADENZA: da evitare QUASI come la peste
Salvatore Gaziano, Direttore investimenti di SoldiExpert SCF, ne ha parlato in un’analisi sui fondi target che è stata ripresa dal settimanale economico Affari & Finanza de La Repubblica.
Nell’analisi di Gaziano viene evidenziato come i fondi a scadenza (o target) si sono dimostrati, nella stragrande maggioranza dei casi, una destinazione pessima per i risparmiatori. Per quanto siano stati venduti con grandi premesse e promesse.
Sulla carta i fondi a scadenza (o target date) sembrerebbero essere infatti ottimi strumenti. Ma nella realtà, vedendo i fondi di questo tipo distribuiti in Italia, è qualcosa da cui stare alla larga. Perché i risultati dei fondi a scadenza o target date sono stati spesso molto deludenti rispetto ai fondi tradizionali. E ancora di più rispetto agli ETF.
Quella dei fondi target è una tipologia di fondi che diverse banche e reti italiane hanno collocato (e continuano a collocare) ai risparmiatori. Ma nelle nostre analisi di portafoglio, in una scala Mercalli dei prodotti più costosi e inefficienti, i fondi target date meritano sicuramente fra le più alte posizioni nel podio dei “peggiori”.
Fondi che potrebbero essere consigliati a vostra madre o a vostro zio, e magari anche a voi. Che molti risparmiatori che si rivolgono a SoldiExpert SCF hanno spesso in portafoglio, ma che andrebbero evitati quasi come la peste. Perché qui gli “handicap” si sommano spesso in modo quasi geometrico.
Fondi azionari o fondi obbligazionari a scadenza
I fondi a scadenza (o fondi target, noti anche come target date fund) sono una particolare categoria di fondi comuni d’investimento con una durata prestabilita e una gestione attiva. Il gestore combina in un unico prodotto azioni e obbligazioni, modificando nel tempo il peso delle due componenti in base all’andamento dei mercati e alla data di rimborso. In pratica, più che fondi azionari o fondi obbligazionari a scadenza, si tratta spesso di fondi bilanciati in cui la componente azionaria viene progressivamente ridotta.
Nati originariamente sul mercato statunitense, questi strumenti erano pensati per chi investe con obiettivi di lungo periodo, come la pensione. Alcuni fondi di Vanguard lanciati negli Stati Uniti nel 2017, ad esempio, hanno come orizzonte il 2065: un’impostazione che ha molto più senso rispetto ai fondi target distribuiti in Italia, spesso limitati a 5-7 anni.
In teoria, i fondi a scadenza dovrebbero calibrare il mix tra azioni e obbligazioni in funzione del tempo: più dinamici all’inizio, più prudenti man mano che si avvicina la data obiettivo. Nella pratica, però, che si tratti di fondi obbligazionari, bilanciati o azionari a scadenza, il nostro giudizio resta lo stesso: prodotti poco efficienti e raramente vantaggiosi per il risparmiatore.
Fondi a scadenza con cedola
I fondi a scadenza prevedono in genere un periodo di sottoscrizione limitato a poche settimane, durante il quale gli investitori possono aderire. Una formula che consente ai collocatori di sfruttare la leva della “scarsità”, tecnica di marketing ancora molto efficace per spingere le vendite. Molti collocatori presentano obiettivi di rendimento allettanti, ma confondono spesso le idee: un obiettivo non è una garanzia, e chi cerca una (pur limitata) certezza farebbe meglio a comprare un tostapane che un fondo d’investimento.
I fondi a scadenza con cedola all’italiana hanno una durata prestabilita, di solito tra cinque e sette anni. Un orizzonte troppo breve per un investimento sensato, più simile a un testa o croce che a una pianificazione. Possono essere obbligazionari o bilanciati e distribuire cedole periodiche, ma se il mercato azionario dovesse crollare poco prima della scadenza – per esempio a causa di una crisi, di una guerra o di una pandemia – il fondo ridurrebbe la quota azionaria proprio nel momento in cui servirebbe per recuperare.
In molti casi, la cedola dei fondi a scadenza è solo uno specchietto per le allodole: può essere prelevata dallo stesso capitale investito, con l’aggravante di dover pagare anche le tasse su quel capitale restituito sotto forma di “cedola”. Insomma, questi fondi target – inclusi i fondi a scadenza con cedola – rappresentano spesso un concentrato di marketing finanziario più che una reale opportunità di rendimento.
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I gestori dei fondi A SCADENZA
In origine, i fondi a scadenza – o target date – prevedevano il rimborso delle quote alla data finale. Con il tempo, però, alcune società di gestione hanno trovato un modo per trattenere il “malloppo”: alla scadenza, invece di liquidare il capitale, trasferiscono automaticamente gli asset in un nuovo fondo della stessa casa. Una trovata che definire geniale… è un eufemismo.
Tra i principali protagonisti di questo mercato si trovano Eurizon, Amundi, Anima, Arca, DWS e Gestielle, oltre a Fineco che, con la serie FAM Smart Defense, si è lanciata da tempo nel business dei fondi a scadenza con un massiccio supporto di marketing finanziario.
Al risparmiatore che sottoscrive i fondi a scadenza possono essere applicati costi di ingresso. Ma anche penali di uscita (se si vuole disinvestire prima della scadenza), commissioni di gestione annuali e talvolta anche commissioni di performance, in diversi casi calcolate con criteri discutibili.
Una serie di handicap che pesano non poco. In questa nostra analisi sottostante abbiamo confrontato l’andamento medio dei fondi a scadenza degli ultimi 10 anni con quello di un portafoglio costituito da ETF globali con una composizione bilanciata 50% azionaria (MSCI World) e 50% obbligazionaria (Bloomberg MSCI Euro Aggregate and Green Bond ESG SRI e FTSE World Government Bond – Developed Markets).
Cosa è successo sul mercato, insomma, al fine di fare un confronto brutale. Ma in grado di rendere l’idea della distruzione di valore che avviene mediamente con i fondi target date. Che fanno rimpiangere i vecchi fondi bilanciati, molto meno infidi, al confronto.

FONDI A SCADENZA per “mungere” i clienti
Oggi sul mercato circolano centinaia di fondi a scadenza, e molti di questi sono già arrivati al traguardo senza lasciare grandi soddisfazioni agli investitori. È evidente che qualcosa non funziona in questa tipologia di prodotti, diventati nel tempo una vera cash cow – o, più brutalmente, una “vacca da mungere” – per chi li colloca. I fondi a scadenza offrono infatti bassi vantaggi, alti costi e numerosi vincoli, ma continuano a essere venduti con successo grazie alla fiducia dei risparmiatori nei confronti di chi li propone e sa usare le parole giuste.
Si tratta di strumenti del risparmio gestito dove il conflitto d’interessi tra collocatori e clienti è particolarmente evidente. Non a caso, i fondi a scadenza rientrano a pieno titolo nella nostra “lista nera”: le banche e le reti li amano perché bloccano il risparmiatore per anni grazie alle penali di uscita, sono difficili da confrontare con benchmark di mercato e permettono di raccontare storie accattivanti. Inoltre, generano commissioni elevate e, in certi casi, anche fantasiose commissioni di performance, spesso senza alcun reale valore aggiunto.
Quando li troviamo nei portafogli dei nostri clienti, come consulenti finanziari indipendenti suggeriamo quasi sempre di liberarsene. Ma circa l’80% dei risparmiatori preferisce restare dentro per evitare i costi di uscita, spesso attorno all’1%. Un comportamento comprensibile sul piano emotivo, ma del tutto irrazionale dal punto di vista finanziario: la zavorra dei costi dei fondi target è mediamente ben superiore, e i risultati ottenuti nel tempo decisamente inferiori.
Chi li colloca, però, conosce bene il proprio mestiere e continua a proporli con successo, nonostante numeri e risultati raccontino tutt’altra storia.