questa è la versione integrale dell’analisi pubblicata su “Il Fatto Quotidiano” del 4/4/2017 a firma Salvatore Gaziano
Unieuro arriva a Piazza Affari ma per riuscire a chiudere il collocamento deve fare un robusto sconto anche sul prezzo per convincere gli investitori istituzionali ad acquistare la propria merce.
Uno sbarco tribolato per la più nota catena di elettrodomestici italiana che in questi anni ha visto diversi cambi di azionariato da quando nel 2002 l’ex proprietario di questo marchio, Oscar Farinetti (oggi n.1 di Eataly), uscendo dalla società di cui era azionista oltre che amministratore, riuscì a ottenere una valorizzazione della società di oltre 500 milioni di euro. Un conto salato pagato dagli inglesi di Dixons, che qualche anno dopo hanno deciso di liberarsi seppure in forte perdita della maggioranza della società.
Ora sul circuito Star di Borsa Italiana Unieuro arriva con una valutazione di circa 220 milioni di euro pari a 11 euro per azione, su una società che è stata protagonista nel 2014 di un’operazione di un aggregazione con un altro gigante del settore (Marcopolo Expert) dopo che agli investitori istituzionali era stato proposto inizialmente di entrare nella società su una valutazione di 320-350 milioni di euro e su una forchetta di prezzo di 13-16,5 euro in un’operazione curata da Mediobanca, Citigroup e Credit Suisse.
E anche il numero di azioni offerto sul mercato si è abbassato, passando dal 42,5 al 32% circa.
L’operazione “fuoritutto” o almeno di metà del capitale non è riuscita ai soci venditori ovvero il fondo americano di private equity Rhone Capital (70)%, il gruppo industriale inglese Dixons (che ha diminuito la quota negli anni al 15%) e la famiglia Silvestrini, che così incasseranno complessivamente 80 milioni rispetto ai 120 milioni stimati. I proventi di questo collocamento non affluiranno quindi nelle casse della società.
Le ragioni del flop di questo collocamento? Bassa redditività e la concorrenza della Rete. Il settore non è giudicato molto affascinante dai gestori e dagli analisti, visto che un sempre maggior numero di consumatori acquista elettronica di consumo ed elettrodomestici sui siti web (da Amazon a ePrice.it) e la tendenza dell’e-commerce è inarrestabile.
Unieuro è la maggiore catena italiana di elettronica di consumo ed elettrodomestici per numero di punti vendita e quello che fino a qualche anno fa era un punto di forza, oggi viene considerato più un punto di debolezza, visto che il 15% di margine lordo che resta alla società fra prezzo di vendita al pubblico e costo dell’acquisto delle merci si assottiglia e di molto per pagare affitti e personale.
Per attirare clienti e generare vendite le società del settore puntano soprattutto su sconti e promozioni per fare fatturato ma i margini non sono esaltanti. Oggi Unieuro fattura circa 1,5 miliardi di euro di ricavi con 457 negozi di cui 180 a gestione diretta e produce un margine operativo lordo (ebitda) di 59 milioni di euro (3,8% del fatturato) con un utile netto di 10,6 milioni di euro.
Nel fatturato al 30% novembre il peso dell’online di Unieuro restava basso (5% del fatturato) e si conta di sviluppare questo canale con acquisizioni come è stato annunciato a febbraio con Monclick e la trasformazione già avviata quasi un anno fa di trasformare tutti i punti vendita in pickup point.
La società promette di far crescere gli utili futuri e il dividendo e anche di essere un polo aggregante per il settore dopo le numerose operazioni di fusione e acquisizioni portate avanti in questi anni ma a Piazza Affari non si è visto grande ottimismo su questo collocamento.
E pensare che “L’ottimismo è il profumo della vita!” era proprio il vecchio slogan di Unieuro commissionato da Oscar Farinetti al poeta Tonino Guerra. Altri tempi.
@soldiexpert