Niente sesso (ed euro) siamo inglesi. Dopo la Brexit tutto quello che c’è da sapere sull’azionario (e non solo) d’oltremanica piuttosto depresso

Nel quarto appuntamento con la Lettera Settimanale di Salvatore Gaziano, SoldiExpert SCF: è conveniente investire nell'azionario inglese? Quali effetti dopo la Brexit? Un reportage originale sulla situazione sanitaria ed economica

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Fra i mercati azionari che nella settimana sono saliti meno quello inglese nella scorsa settimana (+2,3% l’indice FTSE 100) che a 1, 3 e 5 anni è fra i pochi mercati che si sono comportati nel Vecchio Continente peggio di Piazza Affari.

Nel grafico a 10 anni il confronto fra azioni inglesi a larga e bassa capitalizzazione, la Borsa italiana, quella europea e l’azionario mondiale

 

Cosa succede a Londra & dintorni

Era il 23 giugno 2016 quando si è tenuto il referendum per la permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea noto anche come referendum sulla Brexit e che si concluse con la vittoria di misura (51,89%) dei “leavers”.

Con il 31 gennaio 2020 l’uscita è diventata ufficiale e il 24 dicembre 2020 Unione Europea e Regno Unito hanno firmato un accordo di commercio e cooperazione entrato in vigore il 1° gennaio 2021 alla fine del periodo di transizione e di trattative estenuanti.

Rispetto ad alcune previsioni che circolavano soprattutto in Italia di economisti e opinionisti sulla Gran Bretagna dopo il voto favorevole alla Brexit nel 2016 l’Apocalisse non si è compiuta ma non si può certo dire che le cose in UK stanno andando benissimo (Covid a parte).

Non è ancora tutto chiarissimo su questa transizione (per esempio sui servizi finanziari e bancari) e al momento in Gran Bretagna non c’è molto da festeggiare perché l’impatto di questo divorzio sarà sicuramente costoso.

Sulle merci essere tornati ai controlli doganali è stata una mazzata pesantissima per gli esportatori britannici tanto che a gennaio 2021 le esportazioni sono crollate del 69% per effetto di una burocrazia (“paper work” o scartoffie in italiano) fuori controllo che rende per alcune imprese più costoso produrre le bolle d’accompagnamento e i certificati doganali che le merci.

Un quarto dei sei milioni di piccole imprese nel Regno Unito esporta nell’Unione Europea. E molte imprese hanno smesso di vendere online per il momento perché non vogliono assumersi i costi aggiuntivi o trasferirli ai propri clienti.

Se volete stupire il vostro partner per San Valentino regalando un cestino di formaggi pluripremiati tipici inglesi a forma di cuore a questo indirizzo web della Cheshire Cheese Company forse è meglio ripiegar su altro, perché i manager di questo caseificio hanno dichiarato adirati che, per effetto della Brexit, i soli certificati sanitari sono regolarmente più costosi del valore del formaggio venduto.

Sui servizi la Gran Bretagna fuori dall’Unione Europea mira a diventare la “Singapore d’Europa” con un regime a bassa tassazione e regolamentazione “per sfruttare al massimo nuovi settori, nuove idee e nuovi modi di lavorare” (parole di Rishi Sunak, cancelliere dello Scacchiere del governo Johnson) ma l’”esperimento” non sarà facile ed è al momento soprattutto uno slogan.

E lo ha ben dimostrato Sir James Dyson, lo Steve Jobs degli aspirapolvere e degli asciugamani elettrici, importante sostenitore della Brexit e famoso in tutto il mondo per i suoi elettrodomestici che poco più di un anno fa ha spostato il quartier generale della sua azienda dalla Gran Bretagna proprio a Singapore. Anche se a sua parziale discolpa va detto che da tempo la maggior parte dei prodotti Dyson venivano sì progettati nel Regno Unito ma fabbricati in Asia e solo il 5% delle vendite mondiali del suo gruppo sono fatte in UK.

Intanto il Fondo monetario internazionale settimana scorsa ha tagliato le prospettive di crescita della Gran Bretagna per il 2021 a causa di una recrudescenza dei casi di coronavirus e prevede che ci vorrà fino al prossimo anno prima che l’economia riacquisti la sua forza pre-pandemica.

La gestione confusa e a “fisarmonica” del lockdown ha provocato un gran casino e fra le vittime illustri della crisi economica c’è anche una delle catene di grandi magazzini più antiche della Gran Bretagna, Debenhams, nata nel nel 1778 che ha chiuso nelle scorse settimane 118 negozi fra cui il suo famoso flagship londinese in Oxford Street, lasciando disoccupati quasi 12.000 dipendenti.

Fallito da aprile e in liquidazione da dicembre, il noto marchio d’oltremanica, lottava per la sua sopravvivenza e alcuni suoi “pezzi” (i dati dei clienti online e il marchio) come il sito di e-commerce sono stati rilevati dal sito di abbigliamento online Boohoo per 55 milioni di sterline.

E con 118 negozi che chiuderanno ha calcolato il “Financial Times” che rappresentavano un’area commerciale pari a 148 campi da calcio molti centri urbani inglesi cambieranno fisionomia.

 

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L’FMI stima che nel 2020 la Gran Bretagna sarà fra le più colpite delle maggiori economie avanzate del mondo (-10% del Pil) insieme a Italia e Spagna. Un andamento economico da paura insieme a uno dei peggiori indici di mortalità nella gestione sanitaria del Coronavirus (169 molti per 100.000 abitanti nel triste primato mondiale che vede nel terzetto dei “peggiori” anche l’Italia e la Repubblica Ceca).

Nella gestione della campagna vaccini almeno la Gran Bretagna (il primo Paese occidentale a partire a inizio dicembre 2020) sembra aver preso lo slancio giusto ed è in Europa quasi 5 volte superiore alla media UE come execution seppure scelto una strategia particolare che è quella di puntare soprattutto sulla prima dose e a vaccinare tutti gli ultra 50 enni entro maggio.

Un risultato ottenuto grazie al fatto che Londra si è mossa con grande anticipo nell’acquisto dei vaccini, ha affidato la gestione a un imprenditore venture capitalist (e non a un boiardo di Stato come ha fatto l’Italia con Domenico Arcuri) che ha siglato accordi con tutte le case farmaceutiche del mondo e per un numero ciclopico per coprirsi da eventuali incidenti di percorso. Un successo al momento nella gestione dei vaccini che ora il governo di Boris Johnson gioca nel presentare come il principale e primo tangibile beneficio della Brexit.

La strategia di Downing Street è inoculare la prima dose al più alto numero di cittadini per raggiungere 14 milioni entro metà febbraio. L’accelerazione però comporterà un’attesa più lunga per il richiamo: almeno 12 settimane, rispetto alle 2 previste dai protocolli.

Il Regno Unito è attualmente al terzo posto nel mondo, dietro Israele e gli Emirati Arabi Uniti per la campagna di vaccinazione e sta usando anche cinema, stadi, luoghi di culto come la cattedrale di Salisbury e la moschea di Birmingham per iniettare le dosi.

Anche in questo modo sono state già vaccinate 11 mln di persone e ora si prosegue a velocità sostenuta (oltre 400 mila vaccini al giorno mentre in Italia siamo a una media di circa 60.000).

E in questo modo in Gran Bretagna si punta per la settimana prossima ad avere coperte tutte e 4 le categorie a più alto a rischio con un grado di protezione superiore al 60% per ridurre considerevolmente la possibilità di morte e ospedalizzazione.

E la campagna vaccini nonostante una gestione pessima sanitaria ha rilanciato i conservatori di Boris Johnson in testa ai sondaggi mentre i laburisti sono sempre in caduta.

 

Azioni inglesi ai minimi quasi storici

Dal punto di vista del mercato azionario britannico Il rapporto dividendo/prezzo delle azioni inglesi di larga capitalizzazione è del 3,77% che si confronta con un rendimento del titolo governativo inglese (il Gilt) dello 0,48%.

L’indice Cape Shiller Ratio che misura la capitalizzazione della borsa inglese con la media degli utili dell’ultimo decennio (un indicatore ideato dal premio Nobel dell’Economia Robert Shiller per misurare la relativa sottovalutazione o sopravalutazione di un mercato) è inferiore a 14 ed è fra i più bassi del Vecchio Continente.

L’indice FTSE 100 è ricco di società “value” e vere multinazionali globali. Si pensi a Unilever che possiede 400 marchi tra i più diffusi (Knorr, Dove, Lysoform, Calvè, Cif, Lipton, Mentadent…) nel campo dell’alimentazione, bevande, prodotti per l’igiene e per la casa in tutto il mondo (e con una forte presenza in Asia), Astrazeneca, Glaxosmithkline, Diageo (drink alcolici come Baileys, Gordon’s, Captain Morgan, Pampero, Zacapa, Smirnoff, Johnnie Walker, J&B…) o Rio Tinto (la terza più grande società mineraria del mondo). Società dove c’è del valore spesso inespresso.

I dubbi di alcuni investitori sono certo collegati ai possibili effetti della Brexit e al rischio secondo alcune previsioni che la Gran Bretagna perda almeno un 5% del Pil solo per questo effetto nei prossimi 10 anni. Ma tutto può accadere oltre la Manica come si è visto in questi anni e anche un nuovo referendum (in Scozia premono di nuovo per richiederne un altro sull’indipendenza).

Nel listino inglese ci sono anche vere e proprie pepite come Games Workshop (da non confondere con GameStop) una società con sede in Nottingham specializzata in giochi di ruolo e fantasy che ha visto le quotazioni solo negli ultimi 2 anni salire del 300% (e nell’ultimo grazie alla pandemia).

Merito anche del lockdown e dei “nerd” di tutto il mondo. Per chi ha un figlio teenager fan (come mio figlio Federico, 13 anni, che mi ha portato un anno e mezzo fa a visitare il quartier generale nell’affascinante Nottingham) una preziosissima segnalazione migliore degli studi delle più blasonate banche d’affari.

Salvatore Gaziano

Responsabile Strategie di Investimento di SoldiExpert SCF

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