Banche in crisi, salvataggi e bail-in: anche in USA non si riesce ad applicare la norma alla lettera.
Tra marzo e maggio del 2023, il fallimento di tre istituti bancari americani di media grandezza (SVB, Signature e First Republic) ha nuovamente fatto tremare il sistema finanziario internazionale. Per fortuna, o forse solo per ora, a distanza di quasi un anno, i timori di contagio alle banche europee si sono rivelati infondati.
Enormi polemiche si sono sollevate negli Stati Uniti in merito al salvataggio, ancora troppo pubblico e poco privato, come doveva essere secondo quanto previsto dal meccanismo del bail-in. Ma andiamo per gradi.
Che cos’è il bail-in
Entrata in vigore dal 1 gennaio 2016, il bail-in prevede che si possano coinvolgere azionisti, obbligazionisti, creditori e addirittura correntisti della banca stessa nella risoluzione di una crisi bancaria, azzerando o riducendo il rimborso dei titoli o depositi in loro possesso.
In sostanza dunque questo processo stabilisce che le perdite di una banca insolvente devono essere coperte non attraverso un intervento esterno di fondi pubblici (definito in inglese bail-out ovvero salvataggio dall’esterno), ma con il contributo dei risparmiatori e investitori privati arrivando, nei casi più gravi fino a coinvolgere i depositanti.
Nella pratica, durante una crisi bancaria, il bail-in consente di ristrutturare la banca in difficoltà in modo da garantirne la solvibilità senza ricorrere ai fondi pubblici. Questo può includere la cancellazione o la ristrutturazione delle azioni esistenti, la conversione di obbligazioni subordinate in azioni ma anche estendersi alle obbligazioni ordinarie per arrivare sino ai depositi bancari. Nei casi più gravi di bail-in dunque possono essere coinvolti anche i depositi, ma solo oltre la soglia garantita dei 100.000€.
Con la direttiva 2014/59 UE, il bail-in è stato introdotto in Europa come parte della risposta alla crisi finanziaria del 2008, al fine di evitare il salvataggio delle banche con fondi pubblici e di proteggere i contribuenti dal dover coprire le perdite delle banche. Il meccanismo del bail-in scarica di fatto la responsabilità del proprio operato sull’istituto bancario stesso che non gode più a questo punto della protezione incondizionata da parte dello Stato.
bail-in banche: un meccanismo complesso e controverso
Il bail-in è un meccanismo attraverso il quale le autorità di regolamentazione finanziaria cercano di evitare il fallimento di una banca o di un’altra istituzione finanziaria in difficoltà.
Invece di utilizzare fondi pubblici per salvare l’istituzione finanziaria, con il bail-in gli azionisti e i creditori dell’istituzione finanziaria in difficoltà sono chiamati a contribuire al finanziamento della sua risoluzione.
Purtroppo però questo salvataggio dall’interno si rivela spesso complesso e controverso, poiché può comportare il rischio di creare panico tra gli investitori.
come funziona nella pratica il bail-in
Come ben evidenziato anche sul sito della Consob.it, da cui è tratto il grafico sottostante, in caso di bail-in esiste una vera e propria scaletta gerarchica in base alla quale vengono coinvolti i vari strumenti finanziari e i loro possessori. La figura illustra sul lato sinistro l’imbuto di assorbimento del capitale in caso di dissesto bancario mentre sulla destra sono elencati gli strumenti sempre esclusi dal processo di bail-in
In caso di bail-in primi soggetti chiamati a rispondere con il loro capitale sono dunque gli azionisti e i titolari di obbligazioni convertibili. I titolari di questi strumenti vedranno depauperarsi il valore dei loro strumenti fino ad un eventuale totale azzeramento. Se il loro azzeramento non fosse sufficiente a ripianare il buco, si passerebbe al gradino successivo, rappresentato dagli obbligazionisti subordinati. Se anche l’azzeramento delle obbligazioni subordinate non fosse abbastanza si arriverebbe ad intaccare o addirittura azzerare anche il valore delle obbligazioni normali, solitamente definite anche senior. Procedendo oltre si arriverebbe ai conti correnti che, ad eccezione di quanto successe a Cipro nel 2013, non si è mai verificato. Ma come si dice nella vota, mai dire mai.
il caso cipro: un bail-in ante litteram
Nel 2013, quando ancora la direttiva UE sul bail-in era in gestazione, si verificò il più drammatico caso di salvataggio bancario a carico dei depositanti della storia recente. Per questo abbiamo usato la locuzione ante litteram, perché il fatto accadde ben tre anni prima che la legge entrasse in vigore.
Al termine di giorni concitati per i governanti e le istituzioni europee si decise di procedere ad un prelievo forzoso del 20% dei conti correnti sopra i 100.000€ della Banca di Cipro e anche un prelievo del 4% dello stesso tipo di conti depositati presso le altre banche cipriote.
Una scure che ancora oggi pesa sull’isola, anche se in quel caso specifico a rimetterci furono in particolare i ricchi oligarchi russi che utilizzavano Cipro quale paradiso per detenere i propri averi fuori dal paese natìo.
negli usa il bail-in non ha funzionato
In Europa, fortunatamente, non vi sono stati casi recenti di bail-in e di coinvolgimento dei depositanti e questa va detto anche per tranquillizzare soprattutto i depositanti. Che gli azionisti o i possessori di obbligazioni subordinate possano infatti subire forti perdite in seguito al crollo o addirittura all’azzeramento dei propri titoli è un fatto che va sempre messo in conto quando si acquistano questi strumenti. Altra cosa invece è vedersi prosciugare i conti in caso di difficoltà del proprio istituto di credito.
Come abbiamo riportato in avvio del nostro articolo, ben tre istituti americani hanno chiuso i battenti l’anno scorso e il loro salvataggio ha sollevato immense polemiche. Pur in presenza infatti di una normativa simile, che negli Usa viene definita come TLAC (Total Loss Absorbing Capital), il fondo interbancario a tutela dei depositanti è stato pesantemente coinvolto garantendo ai correntisti tutti i loro soldi e non solo quelli limitati alla soglia di garanzia. Secondo uno studio fatto dalla School of Management dell’università di Yale, il fondo di tutela avrebbe potuto risparmiare oltre 13 miliardi$ degli oltre 31 miliardi $ impiegati nel salvataggio delle tre banche, se fossero stati correttamente applicati i criteri del TLAC.
il dissesto di SVB, Signature Bank e First Republic Bank
Durante il primo semestre dello scorso anno, il regolatore americano ha dovuto velocemente risolvere ben tre crisi bancarie, con il fallimento di Silicon Valley Bank e Signature Bank, a marzo 2023 e di First Republic bank, due mesi dopo. In tutti e tre le banche con il bail-in sono stati azzerati sia gli strumenti azionari, sia simil azionari, sia alcuni crediti ma i depositi si sono salvati. Non solo per la parte garantita dei depositi, che negli Usa copre fino a 250.000$, ma anche per le somme eccedenti.
Le polemiche sono state molto vivaci perché, pur disponendo degli strumenti giuridici che consentivano di attingere anche alla parte non garantita dei depositi, si è preferito non farlo, scaricando l’assorbimento di una perdita maggiore sul fondo interbancario di tutela (chiamato FDIC).
Vale la pena di chiedersi se forse non sarebbe meglio ripensare a questo meccanismo di bail-in, alleggerendo il contributo dei privati almeno per la parte detenuta sui conti correnti. Ciò che infatti solitamente accade in un sistema finanziario interconnesso è che eventuali sentori di difficoltà di un istituto di credito possono condurre a una frenetica corsa agli sportelli non solo dell’istituto interessato ma anche di tutti gli altri. E questo caos potrebbe provocare danni maggiori rispetto ai benefici che la normativa vorrebbe portare.
bail-in: se lo conosci lo eviti
Meglio comunque cercare sempre di evitare di trovarsi in questa antipatica situazione. Come? La prima regola è quella di non detenere i vostri risparmi presso banche in cattive acque naturalmente, per non rischiare di restare incastrati.
Ma come può un risparmiatore capire se il banco sta saltando e il bail-in sta arrivando? In teoria ci sono le autorità di vigilanza che dovrebbero evitare che si arrivi a questa situazione e se detenete risparmi sul conto corrente o su un conto deposito fino a 100.000 € c’è il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (Fitd) che garantisce questa somma per ciascun intestatario e per ciascun intermediario aderente.
Cosa significa per ciascun intestatario e per ciascun intermediario ? Significa che se un conto è cointestato a 2 persone la liquidità garantita è pari a 200.000€. Significa inoltre che se possedete singolarmente un conto con oltre 100.000€ in liquidità meglio che apriate un secondo conto in un istituto di credito differente.
Pur in presenza di questa garanzia offerta dal Fondo, nella pratica però le risorse a disposizione del Fidt potrebbero non essere sufficienti soprattutto in caso di banche particolarmente grandi con centinaia di migliaia di correntisti, o ancor più in presenza di una crisi sistemica. I soldi sui conti correnti sono sempre al sicuro? No. Ci sono dei rischi quando si depositano i soldi e questi rischi non possono essere azzerati dal Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi.
l’idea in più per proteggersi dal bail-in
Esiste un modo per salvaguardare il proprio patrimonio quando la banca su cui sono depositati i nostri soldi entra in difficoltà e viene sottoposta al bail-in? Molti correntisti non sanno che gli strumenti finanziari acquistati dal risparmiatore sono di sua proprietà e in caso di dissesto della banca possono essere trasferiti presso un altro istituto di credito. Le tempistiche potrebbero non essere rapidissime ma la proprietà degli strumenti non permette che questi entrino nel calderone delle passività della banca. Detenere ingenti liquidità sul conto corrente oltre i 100.000 € non è quindi né saggio né sensato anche da questo punto di vista.
l’ indicatore cet1 e la solidita’ patrimoniale
Quando si sceglie dunque un istituto di credito quindi vale decisamente la pena dedicare un po’ di tempo all’anno a informarsi sullo stato di solidità della banca. Prendere un po’ di confidenza con alcuni indicatori di solidità è un primo passo per evitare di incappare in un bail-in.
Non tutti i risparmiatori magari avranno il tempo e le competenze per scartabellarsi l’intero bilancio della propria banca ma qualche precauzione possono prenderla per monitorare periodicamente il proprio istituto. L’ indicatore sintetico più conosciuto e immediato che indica la solidità degli istituti bancari è il Common Equity Tier 1, in sigla CET1.
Ogni intermediario finanziario è infatti obbligato a rendere pubblico l’indice CET1, inserendolo tra i dati del proprio bilancio. Sui siti web di tutti gli istituti finanziari questi indicatori sono solitamente di facile reperibilità.
Come evitare quindi di scoprire troppo tardi che la propria banca ha dei grossi guai? Può un risparmiatore capire se ci sono le avvisaglie di una forte crisi per evitare di restare incastrato?
come è costruito l’indicatore CET1
Il Common Equity Tier 1 è un indice che esprime il patrimonio netto della banca (il capitale sociale versato più le riserve) rispetto alle attività ponderate per il rischio. In sostanza dunque le diverse attività della banca devo essere proporzionate al suo livello di capitale.
Le norme europee prevedono una soglia minima di CET1 per le banche dell’Eurozona superiore all’ 8% che equivale a dire che una banca può effettuare investimenti (finanziamenti, prestiti, mutui, investimenti su titoli e così via) ponderati per il rischio superiori a 12,5 volte il capitale proprio.
Se ne deduce che più l’indicatore il CET1 è elevato, maggiore dovrebbe essere la solidità dell’istituto ovvero la capacità di resistere a eventuali scenari negativi avendo un maggiore “cuscinetto” di garanzia a sostegno. Periodicamente la BCE procede ad effettuare degli stress test, detti SREP test (ovvero Supervisory Review and Evaluation Process) per verificare la solidità degli istituti. Per precisione, bisogna dire che oltre al CET1 la BCE attribuisce un secondo parametro detto PILLAR 2, calcolato ad hoc per ogni singolo istituto.
Qualora gli indicatori patrimoniali non siano superiore al minimo obbligatorio richiesto dalla Banca Centrale Europea, l’istituto deve attivarsi per rafforzare il proprio patrimonio, procedendo eventualmente anche ad un aumento di capitale.
altri indicatori di solidità
Come tutti gli indicatori sintetici anche il Cet1 presenta alcuni difetti ma resta fra i più immediati e facili da reperire per fare dei primi confronti. Ci sono alcune banche per esempio che presentano molti crediti di dubbia esigibilità che mostrano un livello di questo ratio tutto sommato sufficiente ma che meriterebbe decisamente maggiori approfondimenti. La qualità infatti degli impieghi della banca è un fattore di grande rilevanza perché a parità di prestiti per esempio alcuni possono essere più di certo rientro ed altri invece potrebbero invece divenire inesigibili.
Altri indicatori interessanti per comprendere lo stato di salute della propria banca sono per esempio l’analisi sintetica dei crediti di dubbia esigibilità ovvero quei finanziamenti che la banca ha erogato ma di difficile rimborso.
Anche gli indici di redditività sono parametri che possono dare indicazioni sullo stato di salute di una banca, perché se una banca è anche profittevole nel tempo significa che ha un modello di business efficace e produttivo.
Da ultimo ma non per importanza, segnaliamo che la supervisione della BCE si estende anche alla valutazione di moltissimi altri fattori quali la governance e tutti i rischi specifici sul capitale dei singoli istituti quali il rischio tasso, il rischio di mercato, il rischio operativo e il rischio di credito.
rischio di bail-in e opinioni
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