Si infiamma il dibattito sul consumo energetico del bitcoin

Il bitcoin, insieme alle altre criptovalute, è fonte di consumi energetici folli. Chi buttare giù dalla torre: il pianeta o il mining? Come il consumo energetico del bitcoin impatta sull'ambiente

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Il tema della criptovalute è fonte di molte discussioni. La discussione questa volta però non riguarda il suo valore economico (circa 55mila dollari) bensì il dispendio energetico necessario per estrarlo.

Ecco il contributo dei quotidiani Milano Finanza e Domani riguardo al dibattito.

 

IL CONSUMO ENERGETICO DEL BITCOIN E L’IMPATTO AMBIENTALE

 

Quanta energia potrà mai consumare una moneta digitale usata ogni giorno per meno di 400mila operazioni (contro il miliardo delle carte di credito)? La risposta che si legge sul quotidiano Domani è: troppo.

Secondo i calcoli dell’università di Cambridge, il consumo energetico dei bitcoin è di 121,5 terawattora l’anno: da soli, i bitcoin consumano più del 60% dell’energia necessaria al funzionamento dei data center che alimentano l’intera rete internet globale. Non solo: ogni singola transazione in bitcoin consuma quanto 450mila transazioni eseguite tramite Visa o Mastercard.

Per un ulteriore confronto, il quotidiano Domani considera tutti i data center del mondo: quelli che fanno funzionare Google o social network come Facebook, Instagram e Twitter; quelli che consentono lo streaming dei brani di Spotify e delle serie tv di Netflix; quelli che permettono di inviare e ricevere mail e quelli che invece custodiscono i dati e l’infrastruttura di qualunque azienda, banca, istituzione.

 

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Tutti assieme, secondo le stime dell’Università della California, i data center sparsi sul pianeta causano un consumo energetico di 200 terawattora l’anno, mentre il bitcoin da solo fa fuori 121,5 terawattora l’anno.

Per fare un altro paragone, e rendere l’idea dei numeri folli, il consumo energetico dei bitcoin è superiore a quello di una nazione da 45 milioni di abitanti come l’Argentina e appena inferiore a una nazione altrettanto popolosa come l’Ucraina o dall’elevato consumo pro capite come la Svezia.

Perché una moneta digitale dall’utilizzo così limitato riesce a consumare quanto una nazione di dimensioni medie? La causa sta tutta nel meccanismo alla base della creazione dei bitcoin: il mining.

 

 

La creazione del bitcoin TRAMITE IL MINING

 

I bitcoin sono gestiti da un’enorme rete decentralizzata di computer. Per tenere traccia di tutte le transazioni e gli scambi, viene utilizzata la blockchain: un registro aperto e distribuito a chiunque può partecipare installando sul proprio computer il software che contiene la storia di tutte le transazioni dei bitcoin, e monitorando così automaticamente i vari passaggi di denaro che avvengono attraverso la blockchain.

Alcuni nodi svolgono però anche il ruolo di miner: il loro compito è quello di validare, sempre per via automatica, le transazioni che avvengono sulla blockchain, approvando ogni dieci minuti circa un nuovo “blocco” contenente al suo interno i dati relativi alle transazioni. È il processo noto appunto come mining.

 

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Il fatto che chiunque possa teoricamente diventare un nodo della blockchain non significa che per minare i bitcoin basti un computer normale come quello che usate per lavorare, ma la competizione per arrivare primi è talmente elevata, che sono necessari computer potentissimi, progettati appositamente a questo scopo e poi collegati tra loro per aumentare ulteriormente la potenza di calcolo a disposizione.

Inevitabilmente, quando il valore dei bitcoin sale aumenta anche l’incentivo a investire in macchine più potenti, che diano maggiori probabilità di vincere la competizione con gli altri minatori digitali.

 

 

la Mongolia: stop al consumo energetico del bitcoin

 

 

Come riporta  Milano Finanza, proprio a causa del consumo di energia, dal prossimo aprile, qualora il Paese decidesse di approvare un nuovo regolamento della Commissione per lo Sviluppo e le Riforme, tutte le operazioni di mining di criptovalute in Mongolia potrebbero diventare illegali. 

La messa al bando delle criptovalute è necessaria per ridurre il consumo energetico della Mongolia in seguito ai mancati obiettivi imposti dalla Cina, con il Paese che nel 2021, dovrà limitare la crescita dei consumi di energia all’1,9%.

Anche la Cina si trova davanti a una lotta dura, considerando che circa il 60% della potenza di calcolo globale impiegata per il mining di Bitcoin proviene dal Paese (dove il costo dell’energia è estremamente basso), seguita da altri Paesi come la Mongolia che rappresenta l’8% delle attività globali (quanto la Russia e davanti addirittura agli Stati Uniti che coprono il 7,2%).

 

 

L’impatto ambientale del bitcoin

 

Per tutti i motivi affrontati sopra, la criptovaluta attira, in epoca di crisi climatica, le feroci critiche del mondo ambientalista.

Dal punto di vista della sostenibilità, l’aspetto più importante non è quanta energia venga consumata, ma che tipo di energia venga utilizzata.

Secondo uno studio condotto dalla società d’investimenti CoinShares, il 78% dell’elettricità impiegata per i bitcoin proviene da fonti rinnovabili, in gran parte dall’idroelettrico di cui, per esempio, è particolarmente ricca la regione cinese del Sichuan, dove hanno sede i mining pool responsabili da soli dell’estrazione di quasi la metà dei bitcoin.

Questa stima si scontra però con i dati del Cambridge Center for Alternative Finance, secondo il quale lo strapotere cinese nell’estrazione di criptovalute ha come effetto collaterale che il 38% dei mining pool utilizzi, nel mix energetico, anche elettricità derivata dal carbone e che, nel complesso, l’impiego di rinnovabili non superi invece il 39 per cento.

Ma se anche fossero corrette le stime più ottimistiche, il problema non sarebbe risolto. 

 

 

Bitcoin: una delle tante criptovalute

 

Il quotidiano Domani sottolinea che i bitcoin, per quanto dominanti, sono solo una delle tante criptovalute.

L’indice CoinMarketCap segnala l’esistenza di qualcosa come 8mila monete digitali. Da Ethereum a Ripple, da Litecoin a Cardano, da Binance Coin a Tether: la lista è praticamente infinita.

E per quanto molte di queste siano l’equivalente digitale della carta straccia e moltissime altre non utilizzino il meccanismo del mining, il consumo di tutte le criptovalute escluso il bitcoin, secondo uno studio del Politecnico di Monaco, supera i 180 terawattora l’anno, il 50% in più dei soli bitcoin: sommando tutto tra bitcoin e le sue 8000 sorelle siamo a un consumo energetico doppio rispetto ai pesi massimi sui social (Google, Facebook, Instagram, Twitter)  e i canali top nella musica e nell’entertainment (Spotify e Netflix) messi insieme.

 

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