I certificates (o certificati) promettono di far guadagnare soldi in breve tempo e ottenere cedole ultra generose. Ma possono tirare solenni fregature e dimostrarsi prodotti illiquidi e costosi (e infatti vengono collocati a manetta da numerose reti e banche).
Per questo noi non li abbiamo quasi mai consigliati (salvo qualcuno per esigenze di copertura) in oltre 25 anni di attività e quando ci arrivano email come quella che esamineremo fra poco di risparmiatori delusi per la “cocente delusione” patita con perdite del 35% per quello che consideravano un investimento “sicuro” restiamo da una parte basiti, dall’altra sappiamo come va il mondo e ben conosciamo la pressione commerciale che banche e reti di consulenti fanno per collocare questi prodotti molto lucrosi per chi li crea e chi soprattutto li colloca.
Cosa sono i certificates?
Di cosa si tratta innanzitutto? Certamente vi sarà capitato di ricevere un’email o l’offerta di “banker” che vi tesse le lodi di uno di questi magici prodottini che sembrano realizzare il desiderio di ogni investitore: ottenere guadagni senza grossi rischi, frutti generosi senza grandi fatiche. Delle “scommesse” da piazzare sui mercati legati ad azioni, tassi di interesse, materie prime: dall’ago alla pelliccia.


Voi li acquistate e in base all’andamento di alcuni titoli contenuti (il “basket” di titoli), se si realizzano alcune condizioni (che sembrano spesso a una prima occhiata molto di buon senso e quasi impossibile che non si possano realizzare) al termine del periodo prefissato potete incassare il ricco “bottino”. Inoltre durante il viaggio, se previsto, potreste anche incassare delle cedole niente male. Insomma la quadratura del cerchio.
Funziona veramente cosi?
Sono strumenti finanziari così miracolosi (così spesso vengono venduti e propagandati) che consentono di recuperare le minusvalenze, ottenere cedole di oltre il 10% annue, potenziare la virilità, ridurre la prostata (se siete dei maschietti ultra cinquantenni) e allungare la vita?
Dipende. E la maggior parte dei risparmiatori farebbe bene a maneggiarli con cura o evitarli se non ne comprende bene il funzionamento sottostante, i pro ma soprattutto i contro. E pochissimi professionisti in Italia possono consigliarli e analizzarli in modo veramente professionale e indipendente (perchè ci sono anche coloro che li consigliano perchè ricevono sopra o sotto il banco delle commissioni per il “disturbo”) e quindi “statte accorte” come dicono a Napoli. E noi, per il tipo di consulenza fornita e l’approccio seguito (dove vogliamo avere sempre le mani libere) preferiamo starne alla larga.
Per banche e reti un collocamento redditizio. Anche il 6% di commissioni da tosare in un colpo solo al risparmiatore!
Nelle ultime settimane il tema Certificati è diventato sempre più bollente e anche su Plus, il settimanale del Sole 24 Ore, un risparmiatore ha denunciato il maldestro tentativo di collocamento da parte di una banca e le pressioni che i capi area fanno per rifilarli ai risparmiatori. Il motivo è presto detto: consentono di lucrare laute commissioni e centrare i budget (nel caso citato, il bancario aveva erroneamente fatto leggere a un suo cliente quanto ricevuto dal suo capo che invitava tutti gli impiegati allo sportello a proporne l’acquisto ai clienti per il bene della banca e della filiale come potete leggere sotto e stupirvi se ancora vi stupite ).
Nel 2018 i Certificati sono fra i prodotti più collocati dalle banche (i nuovi Pir!) con un vero boom stimato superiore ai 10 miliardi di euro in fase di collocamento primario, per non parlare dei volumi e degli spread sul mercato secondario.
Perché banche, reti e consulenti finanziari ricorrono sempre più al collocamento di questi prodotti? Naturalmente perché c’è sempre bisogno per l’industria del risparmio gestito di vendere qualcosa di “innovativo” e perché, inutile dirlo, questi prodotti sono “miele” per chi li vende: consentono di lucrare spesso commissioni di collocamento fra il 4 e il 6%. Vi vendono a 100 qualcosa che magari già il giorno dopo vale 94. Capirete perché legioni di banker, consulenti e reti cercano di collocare questi “prodottini”. Un recente prodotto collocato da Banca Imi (Equity Protection Long Cap) nelle condizioni definitive nel prospetto recita: “il prezzo di sottoscrizione include commissioni di collocamento in favore dei collocatori, oneri relativi alla gestione del rischio per il mantenimento delle condizioni di collocamento e altri costi connessi alla strutturazione complessivamente pari al 4,456%“. Mica cotiche.
Meglio sul secondario, ma attenti anche alla liquidabilità e alla struttura di ogni certificato
So che qualcuno fra i consulenti finanziari (anche amici) ci dirà che non dobbiamo fare di tutta l’erba un fascio e sul mercato secondario (ovvero fra i certificati più quotati) ci possono essere occasioni più interessanti e strutture da valutare. E’ vero. Ma è bene raccontare ai risparmiatori come funziona il “giro del fumo” e far capire che avventurandosi sul secondario senza la sufficiente cognizione e puntando troppo pesantemente su questo tipo di strumenti, convinti erroneamente che si tratta di prodotti “sicuri”, il danno può essere pesante.
E’ il caso di diversi risparmiatori che ci hanno scritto in questi mesi: uno tra questi che alcuni mesi fa, a giugno, con il titolo Telecom Italia a 0,70 iniziava a preoccuparsi per il suo investimento su un certificato legato a questo titolo. Ci scriveva: “…purtroppo ho un certificato avente appunto come sottostante Telecom Italia con barriera discreta (a scadenza dicembre fissata a 0,49 e con un 50% di protezione dallo strike di 0,98 mi sentivo sufficientemente tranquillo tanto da investire una cifra per me importante, diciamo un buon 20% del patrimonio. Ora sono impietrito e paralizzato dalla continua discesa del titolo e dalle sorti del certificato…”.
Inutile dire che l’evento nefasto si è verificato nelle scorse settimane (fino a qualche mese fa la discesa sotto 0,49 euro sembrava improbabile per un titolo che molte banche d’affari valutavano 1,2 euro) e questo ha significato non solo la perdita del “cedolone”, ma anche il rischio dimezzamento del capitale iniziale e quindi il non rimborso a quota 100 (la famosa quota 100…) del capitale.
Riguardo poi i certificati, fra le decine di casi di risparmiatori che ci hanno scritto potrei citare quello di un risparmiatore che circa un anno fa ci aveva segnalato un altro certificato che sembrava fantastico da comprare anche sul secondario. Gli era stato suggerito dalla lettura di un articolo sul web dove si parlava di questo prodotto con caratteristiche molto attraenti da farlo sembrare quasi come tirare un gol a porta vuota (se non siete scarponi come me).
Questo certificato emesso da Unicredit (Isin DE000HV40AR6) poteva consentire di ottenere un guadagno del 28,5% (un rimborso a 128,5 nel caso che nessuno di questi 3 titoli fosse sceso sotto determinati livelli) ed è collegato a tre blue chip (Eni, Fiat Chrysler Automobiles e Intesa San Paolo). Il risparmiatore voleva metterci sopra una cifra pesante (“per recuperare le perdite pregresse”) con il prezzo sopra quota 100.
Oggi questo certificato (che scade fra pochissime settimane) vale circa 66/68 e il cedolone è stato annullato perché l’evento nefasto che faceva maturare il diritto a incassare il cedolone del 28,5%, la discesa di uno o più titoli sotto il livello “barriera”, si è verificato con Intesa Sanpaolo che nelle scorse settimane (e lo è tuttora) è andata sotto quota 2,058€.
Uno scenario che fino a un anno fa sembrava quasi impossibile (e così veniva raccontato) e invece si verificato in poche settimane in concomitanza alle forti pressioni dello scenario politico sul settore bancario.
Il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi ed è possibile vedere sotto il grafico di questo certificato e cosa è successo in pochissimi giorni. Come vedrete il certificato è piombato già da 110€ a circa 65€ attuali.
Andamento Quotazione Certificato ENI/INTESA/FCA
Venderli prima della scadenza non è proprio una passeggiata
Si potrebbe obiettare che qualche settimana fa, vedendo la mala parata dei mercati, si sarebbe potuto uscire e vendere il certificato in questione quando era magari a 95 o 90 per contenere la perdita… Ma dalla teoria alla pratica c’è sempre molta distanza e vi posso assicurare che nelle scorse settimane chi avesse curiosato il book (ovvero le proposte di acquisto e di vendita) l’avrebbe visto quasi sempre desolatamente vuoto, con pochissime decine di pezzi in acquisto e spread offerti dall’emittente tutti da scoprire.
Insomma, illiquidità molto elevata in fasi fortemente avverse. Ed è anche per questo motivo che non amiamo particolarmente questi prodotti come SCF e consulenti finanziari indipendenti e gli sconsigliamo ai comuni risparmiatori che dovrebbero esaminarne bene tutte le caratteristiche, compresa la liquidabilità. Cosa assolutamente non pacifica quando si costruiscono portafogli con prodotti “particolari”.
Peraltro sui certificates o certificati ricordo un vecchio studio di alcuni fa pubblicato proprio dall’Associazione di emittenti di certificati che analizzando questo tipo di prodotti in un periodo significativo come fra il 2004 e il 2012 arrivava, sintetizzando, alla conclusione che nel caso dei “bonus certificates” (fra i più comuni) la barriera (l’evento “nefasto”) era stata raggiunta nel 47% dei casi e addirittura nel 82,8% dei casi nel periodo 2004-2008 (qui va ricordato che coincide con un mercato marcatamente ribassista con il crollo della Grande Crisi).
Insomma percentuali da “testa o croce”. L’Ingegneria dei certificati avrà sicuramente fatto qualche progresso in questi anni ma dubito che siamo arrivati a costruire prodotti che consentono di guadagnare in ogni condizione dei mercati. Ricordatelo quando vi propongono i certificates quasi come un tiro a porta vuota.
Per questo sono molto assimilabili a delle scommesse e non a caso si parla di eventi; le stesse parole che contraddistinguono la lettura dei prospetti di questi strumenti (strike, barriera…) mi riporta personalmente ai ricordi adolescenziali nel mondo dei cavalli a San Siro e Vinovo, l’ippodromo torinese (da ragazzo alle medie ho vinto un cavallo da trotto ma questa è un’altra storia).
Certo qualcuno potrebbe obiettare che nel peggiore dei casi in diversi di questi certificati (fuori dal discorso quelli a leva o short naturalmente) perdereste comunque come se aveste investito nei corrispondenti titoli sottostanti. “Sni” direbbe qui in ufficio un nostro consulente finanziario.
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Nei certificati l’emittente s’incamera comunque i dividendi e inoltre il tema liquidabilità non è proprio qualcosa da trascurare. E tutto questo unito al fatto che, per esperienza (e dopo aver fatto in questi anni centinaia di check up a investitori privati), la maggior parte dei risparmiatori su questi certificati (magari perché mal consigliati o ingenuamente) ci investe cifre spesso troppo elevate, concentrando troppo il rischio e giudicandoli prodotti quasi sicuri e a capitale garantito. E non è spesso così!
Per questo vanno maneggiati con cura e solo se veramente ne avete chiare tutte le caratteristiche o se se siete affiancati da un consulente che fa veramente il vostro interesse e non quello proprio o sotto pressione della sua banca o rete mandante.