.Alla fine del 2001 secondo i dati Bankitalia più di metà dei soldi degli italiani affidati dal risparmio gestito erano investiti in una gestione patrimoniale. Ma la maggior parte degli italiani sanno cos’è, come funziona, quanto costa e se conviene una gestione patrimoniale? Ecco un parere indipendente sui pro e i contro di una gestione patrimoniale.
COS’E’ LA GESTIONE PATRIMONIALE?
La gestione patrimoniale è un contratto con cui il risparmiatore affida i propri capitali a un soggetto abilitato all’esercizio di questa attività. Può essere una banca o una società di gestione o una SIM autorizzata a prestare tale servizio. Lo scopo di delegare alla banca la gestione del proprio capitale è che gestisca il patrimonio al meglio in base al profilo di rischio del cliente.
Nel caso di una gestione patrimoniale, il risparmiatore dà quindi un mandato a un soggetto abilitato che deciderà e eseguirà per suo conto le scelte di investimento. Rispettano il perimetro stabilito: l’importo a disposizione del cliente e il tipo di investimento. Una volta compreso cos’è una gestione patrimoniale, è bene che prima di sottoscriverla il risparmiatore verifichi che chi la propone sia un intermediario autorizzato a svolgere questo servizio.
IL RISCHIO DI UNA GESTIONE PATRIMONIALE? DIPENDE
La gestione patrimoniale può avere differenti profili di rischio. Il rischio di una gestione patrimoniale può essere basso (profilo prudente), medio (gestione bilanciata) o alto (gestione aggressiva). A ogni profilo di rischio corrisponderà una diversa composizione del portafoglio di investimenti e quindi dei titoli detenuti dalla gestione.
In una gestione prudente prevarranno strumenti obbligazionari mentre in una gestione aggressiva strumenti azionari. Nella gestione bilanciata invece saranno presenti entrambi e nessuno in maniera prevalente. Di solito 50% strumenti obbligazionari e 50% strumenti azionari.
LE TIPOLOGIE DI GESTIONI PATRIMONIALI
Le gestioni patrimoniali sono di due tipi noti con l’acronimo di GPM e GPF.
Nel caso della GPM ovvero della gestione patrimoniale mobiliare il risparmiatore avrà il suo capitale investito in titoli diretti (ovvero in azioni e obbligazioni).
Nella GPF acronimo di gestione patrimoniale in fondi il patrimonio del cliente sarà investito in quote di fondi comuni di investimento e SICAV. Ovvero, secondo la definizione della Consob in strumenti di investimento, gestiti dalle società di gestione del risparmio (SGR). Le SGR riuniscono le somme di più risparmiatori e le investono, come un unico patrimonio, in attività finanziarie. Queste sono le due tipologie di gestioni patrimoniali, in titoli o in fondi.
I VANTAGGI DELLE GESTIONI PATRIMONIALI
Rispetto al classico “fai da te” i vantaggi delle gestioni patrimoniali sono diversi. Possono offrire una maggiore diversificazione del capitale (soprattutto le GPF, le gestioni patrimoniali in fondi). E anche un maggior controllo del rischio. La composizione della gestione deve infatti sempre rispettare e essere adeguata al profilo di rischio del cliente. La profilatura del cliente, ovvero il suo profilo di rischio, emerge dalla compilazione di un questionario, che si chiama questionario MIFID.
Il gestore è tenuto a rispettare il mandato firmato dal cliente. In caso di gestione infedele (ovvero fuori mandato) il cliente può far causa all’intermediario.
Ogni banca, SIM o società di gestione ha dei risk managers (dei gestori del rischio) che hanno il compito di vagliare e ponderare tutti i fattori di rischio del portafoglio. Sia a livello di singole componenti sia in relazione tra loro.
Tra i vantaggi delle gestioni patrimoniali anche il minor coinvolgimento emozionale del cliente. Avendo scelto di delegare le scelte al gestore, è meno tentato di liquidare l’investimento appena i mercati finanziari cambiano la rotta.
QUANTO VALE? LA RENDICONTAZIONE NELLE GESTIONI PATRIMONIALI
Le gestioni patrimoniali a differenza del “fai da te” non consentono normalmente di accedere online alla propria posizione. Chi sottoscrive una gestione patrimoniale ogni tre mesi riceve un rendiconto. Nel rendiconto di gestione viene indicato il controvalore attuale del portafoglio investimenti, la sua composizione, l’andamento del parametro (benchmark) di riferimento della gestione e i costi addebitati (commissioni di gestione e a fine anno anche di performance se l’intermediario le applica).
Sapere solo ogni trimestre quanto vale la gestione frena sicuramente le reazioni “di pancia” dell’investitore.
Questo tipo di investimento è solitamente selezionato per il medio-lungo periodo. Per questo la rendicontazione nelle gestioni patrimoniali non è giornaliera rispetto alla gestione fai da te che invece viene vissuta tipicamente in modo più emotivo. Sia nel bene che nel male.
GESTIONE PATRIMONIALE: COME FUNZIONA?
Il risparmiatore sottoscrive a favore dell’intermediario a cui decide di affidare il suo capitale un mandato di gestione. In cambio di una commissione di gestione, la banca (o la SIM o la SGR che sono i soggetti autorizzati alla raccolta del risparmio) mette a disposizione (così dice) i suoi cervelli finanziari migliori. Da quel momento in poi gli esperti avranno (o dovrebbero avere) come principale preoccupazione quella di far diventare più ricco e curare il benessere finanziario del sottoscrittore, scovando opportunità in tutto il pianeta finanziario.
A differenza dei fondi comuni, la gestione patrimoniale non viene effettuata “in monte” (o almeno così si dice ma nella realtà la differenza è molto sottile) ma separatamente per ogni cliente del gestore. E’ un servizio di investimento che viene presentato come altamente personalizzato. Il portafoglio di ciascun cliente è potenzialmente diverso da quello di ogni altro e definito sulla base di un’analisi accurata delle sue esigenze e dei suoi obiettivi di investimento. La gestione patrimoniale: come funziona veramente?
Quella della personalizzazione e del “su misura” è un’utopia dato che le economie di scala esistono in tutti i settori e soprattutto in quello del risparmio gestito una vera gallina d’oro per banche e reti.
“Molti investitori credono che le loro gestioni siano personalizzate. A volte sono indotti a crederlo anche perché, per molti addetti commerciali, “patrimoniale” è sinonimo di “personalizzazione” – spiega Claudio Morici in passato manager di una banca internazionale nel libro “I miei soldi” edito da Il Sole 24 ORE – Per personalizzazione si intende che le gestioni sono costruite su misura per le esigenze del singolo cliente e che siano seguite, analizzate, gestite, una per una, dai gestori; che, in definitiva, sia un servizio unico e speciale per quel cliente. Tutto ciò non è affatto vero, se non per casi eccezionali, di importi rilevanti, sopra i 5 milioni di euro“.
LE GESTIONI PATRIMONIALI SUPERANO I FONDI
Per chi le vende, le gestioni saranno il top ma per chi le acquista sono un buon affare? Conviene affidarsi alle gestioni patrimoniali ? Difficile generalizzare ma come spieghiamo in questo approfondimento ci sono sempre diversi fattori da prendere in considerazione in un rapporto fiduciario e dove ci sono i soldi di mezzo e anche un potenziale (non troppo potenziale in Italia) conflitto d’interessi. Il dato più rilevante è che da molti anni le gestioni patrimoniali superano i fondi come raccolta.
Uno spaccato delle attività gestite dagli operatori istituzionali tra fondi, assicurazioni, fondi pensione e gestioni patrimoniali lo dimostra. “Il patrimonio complessivo gestito dagli investitori istituzionali ha superato 1.700 miliardi alla fine di dicembre” secondo i dati della Banca d’Italia: di queste attività gestite più del 50% è rappresentato dalle gestioni patrimoniali.
IL SUCCESSO DELLE GESTIONI PATRIMONIALI
Tranne rari casi in cui il risparmiatore ha saputo negoziare molto abilmente con la propria banca le condizioni offerte, la maggior parte delle gestioni patrimoniali non sono proprio da vip. Nemmeno i potenziali risultati offerti si possono giudicare veramente superiori a quelli di prodotti e servizi finanziari più popolari.
Si paga di più (e molto) per avere spesso di meno con un trasparenza inferiore.
Come spiegare allora il successo delle gestioni o le tesi di chi prevede per questo comparto un’ulteriore forte crescita?
Ci si potrebbe scrivere un trattato di finanza comportamentale riguardo questo argomento. Sicuramente due importanti aspetti favoriscono il successo di questa forma di impiego degli investimenti dal punto di vista dell’offerta e della domanda.
Da una parte la forza delle reti di vendita che spingono verso questo tipo di raccolta che è fra le più remunerative sia per chi raccoglie i soldi che per chi li gestisce. Per questo molte banche e sim hanno abbassato sempre più il livello minimo di ingresso per incrementare il business. E pazienza se questo obiettivo non è poi spesso centrato per chi i soldi ce li mette.
CAPITALE MINIMO PER SOTTOSCRIVERE UNA GESTIONE PATRIMONIALE
Originariamente i servizi di private banking erano, infatti, offerti ad una clientela con disponibilità finanziarie quantificabili in milioni. Negli ultimi anni è cresciuta, però, anche l’offerta di servizi parzialmente assimilabili a quelli di private banking, per clienti con disponibilità minori (€250-€500.000).
Sul lato domanda è evidente, visti i numeri, che vi è una richiesta diffusa di consulenza e gestione “chiavi in mano”. L’investitore italiano e dotato finanziariamente vorrebbe avere qualcuno che ne curi i suoi interessi, delegandogli interamente la gestione della sua ricchezza. Non ha tempo (o non ne vuole dedicare) a informarsi sul come gestire i propri investimenti. Vuole fare il meno possibile, ritenendo la banca la struttura migliore a cui affidare una delega in bianco per ottenere il servizio più adatto alle proprie esigenze. Che possono essere non solo di tipo economico (e guardare al semplice risultato) ma anche valutare come apprezzabili forse altri valori come la riservatezza presunta offerta.
Anche su questo argomento ci sarebbe molto da dibattere visto che il segreto bancario offerto dalle gestioni patrimoniali non è affatto di livello superiore a quello di un semplice rapporto di risparmio amministrato, ma il marketing bancario in questi anni è stato molto bravo nel vendere concetti come riservatezza, sofisticazione e personalizzazione applicati al mondo delle gestioni ed è difficile smontare le credenze quando sono diffuse.
I CONFLITTI DI INTERESSE NELLE GESTIONI PATRIMONIALI
Sulle gestioni in fondi (GPF) il guadagno della banca può essere doppio, in quanto oltre alla commissione di gestione può esserci un introito commissionale a favore di società del Gruppo.
Le GPF sono prodotti finanziari che, come dice il nome, investono in fondi comuni d’investimento. Uno degli scopi delle gestioni patrimoniale dovrebbe essere quello di diversificare in fondi, scegliendo fra i migliori. Il problema è che se una GPF investe solo su fondi riconducibili alla banca cui essa fa capo, la scelta sarà limitata. Probabilmente i migliori fondi della categoria (se non sono della propria scuderia) saranno esclusi.
La banca potrebbe quindi selezionare fondi del proprio gruppo e in questo modo oltre alla commissioni di gestione che guadagna dalla gestione patrimoniale ottenere ulteriori ricavi dai fondi della propria scuderia.
In realtà alcuni anni fa la Consob ha vietato questo “double charging” ma non tutte le società è capitato di vedere che la rispettino e in Italia ci sono spesso scappatoie per i furbi come sostenere che comunque c’è una vera gestione attività di questi fondi. In ogni caso le gestioni patrimoniali più corrette sono quelle dove vengono utilizzati dei fondi le classi istituzionali (quelle con il costo di gestione più basso oppure se usano classi retail ristornano completamente ai clienti le commissioni di retrocessione indebitamente ricevute).
LE GESTIONI PATRIMONIALI MULTI MANAGER
Ci sono però anche delle GPF, dette multi manager, che possono diversificare su fondi di diversi gestori, senza limitarsi a quelli “della casa”. Queste, tuttavia, non risolvono del tutto il problema. Vero che possono scegliere tra più alternative, ma questo non garantisce che i gestori saranno davvero imparziali nelle scelte.
Difficile vedere in Italia in una GPF di una banca o di una rete che ha anche una cosiddetta “fabbrica prodotti” (ovvero detiene una società di gestioni di fondi o ha proprie SICAV) che in portafoglio non abbia alcun fondo della banca stessa o con società dove magari ha precisi accordi di distribuzione con una sorta di “minimo garantito”.
“Se la vostra banca vi propone una gestione fatta solo, o quasi, con i suoi fondi fuggite” è il consiglio di Morici nel libro “I miei soldi”.
>>Fidarsi della banca per i consigli per investire. È la scelta giusta?<<<
In ogni caso per un risparmiatore sono diversi gli elementi che deve valutare e per nostra esperienza anche dei fondi di fondi contenuti all’interno della propria gestione patrimoniale che spesso altro non sono che dei moltiplicatori di costi a svantaggio del cliente. Nei check up che facciamo dei portafogli dai te o delle gestioni patrimoniali o posizioni che analizziamo l’analisi costi/benefici si incentra proprio su questi aspetti.
GESTIONI PATRIMONIALI: I COSTI
Affidarsi a una gestione patrimoniale significa pagare una commissione di gestione annua. Negoziabile ma nell’ordine di qualche punto percentuale l’anno sull’azionario e a partire mediamente dallo 0,8-1% sull’obbligazionario. Impossibile distinguere caso per caso. Nelle gestioni patrimoniali, i costi non solo la cosa più semplice da capire.
A quelli di gestione, si aggiungono poi i costi di intermediazione che possono far lievitare il conto. Questi costi per il risparmiatore non sono facili da conoscere ex ante.
Se voglio operare con banche online come Fineco, Webank, Sella, pagherò se voglio acquistare titoli commissioni plafonate, ovvero circa 0,2% con massimo di 19 euro per comprare azioni o obbligazioni. Se invece le azioni e le obbligazioni vengono comprate attraverso una gestione patrimoniale mobiliare (GPM) potreste vedervi applicata anche una commissione variabile anche dello 0,3%. Senza un costo massimo per operazione.
Quindi se acquisto cinque titoli di pari controvalore per 100.000 euro, pagherò al massimo 19 euro per operazione quindi in tutto 95 euro con il “fai da te”. Se gli stessi titoli nelle stesse proporzioni verranno acquistati all’interno di una GPM (gestione patrimoniale mobiliare) potrei pagare 300 euro. Oltre alle spese di gestione annue oltre a eventuali commissioni di performance.
LE COMMISSIONI DI PERFORMANCE NELLE GESTIONI PATRIMONIALI
A chi sottoscrive una gestione patrimoniale possono essere addebitate annualmente anche commissioni di risultato (o di performance). Vengono prelevate quando la performance della gestione è superiore al benchmark. Il benchmark un parametro di riferimento scelto dall’intermediario a cui abbiamo affidato il nostro capitale in gestione. Le commissioni di performance nelle gestioni patrimoniali sono molto frequenti.
Nel caso delle gestioni patrimoniali in fondi (GPF) oltre alla commissione di gestione “on top” sulla gestione, si pagheranno commissioni variabili dall’1% al 3% sui fondi acquistati dalla gestione se non vengono ristornate al cliente come abbiamo spiegato prima. E il costo complessivo del prodotto può facilmente superare il 3-4% all’anno.
QUANTO COSTANO LE GESTIONI PATRIMONIALI
Naturalmente non tutte le gestioni patrimoniali sono così costose: ci sono intermediari che non addebitano costi di transazione sugli strumenti finanziari acquistati e banche, sim e sgr (ma sono rare) che privilegiano l’investimento in ETF, i fondi semi-passivi che si limitano a replicare l’andamento di un mercato o settore, rispetto ai più costosi fondi di investimento e SICAV. E queste sono le nostre preferite perché una gestione patrimoniale solo in fondi rischia per nostra esperienza dopo tanti anni di analisi di questo tipo di prodotto per centinaia di clienti di essere soprattutto una “matrioska” di costi palesi e soprattutto occulti.
Quanto costano le gestioni patrimoniali? Dipende anche da cosa c’è dentro: se fondi costeranno di più al sottoscrittore, se ETF o titoli molto di meno.
LA TASSAZIONE DELLE GESTIONI PATRIMONIALI
La tassazione delle gestioni patrimoniali è molto diversa rispetto al “fai da te”.
L’intermediario calcola alla fine dell’anno per ogni cliente titolare di una gestione patrimoniale il capital gain maturato (ovvero il guadagno in conto capitale realizzato dalla gestione). Se il patrimonio del cliente alla fine dell’anno è maggiore del valore di inizio anno, l’intermediario addebita le tasse sul capital gain al cliente.
Le gestioni patrimoniali hanno un regime fiscale che consente di compensare plusvalenze e minusvalenze maturate su tutti gli strumenti finanziari in portafoglio. Nel “fai da te” invece per esempio le minusvalenze realizzate sui fondi non sono compensabili con plusvalenze realizzate su questi strumenti. E il contribuente si trova a pagare molto più del dovuto. La tassazione delle gestioni patrimoniali ha quindi aspetti positivi (compensazione tra gli strumenti) e negativi (si paga sul maturato).
La normativa italiana sulle minusvalenze è comunque poco equa in quasi ogni caso e una migliore tassazione si ha dentro le polizze finanziarie (le cosiddette “unit linked”). Anche qui vanno soppesati sempre pro e contro e soprattutto i costi veri della struttura per non vedersi mangiato il risparmio fiscale dai vari intermediari e collocatori.
MA SE LE GESTIONI PATRIMONIALI DELUDONO PERCHÉ UN FIUME DENARO CI SI RIVERSA?
“Ma se i risultati delle gestioni sono mediamente così mediocri e scadenti e i costi così elevati rispetto ai servizi e al valore aggiunto fornito, perché molti risparmiatori continuano a premiarle?”.
Sono diverse le ragioni che si possono azzardare. Chi ha molti soldi e cerca tranquillità, secondo la nostra esperienza, è spesso un “conservatore”. Non ama molto mettere in discussione le scelte compiute. E paradossalmente peggiori sono spesso i risultati ottenuti maggiore è l’attaccamento al proprio “carnefice” (secondo la famosa sindrome di Stoccolma) poiché esiste in un angolo importante del proprio cervello (e gli studi di neuro economia lo confermano) l’idea che aspettare (e non prendere quindi decisioni) non sia una cattiva strategia perché col tempo si potrà tornare ai prezzi di… carico e non vedere così messo in discussione il proprio ego.
L’idea diffusa (e in parte condivisibile visti i risultati) è d’altra parte che cambiare intermediario non è che porta a grandi miglioramenti. Si molla un gestore scadente per andare da un altro (mettendo in “piazza” la propria ricchezza) che a parole, quando ti deve “prendere”, ti dice che sarà il tuo George Soros. Poi la realtà dimostra che svolge sì questa funzione ma nell’interesse soprattutto della propria banca a vederne i risultati realizzati.
LE PERFORMANCE DELLE GESTIONI PATRIMONIALI: MOLTO FUMO POCO ARROSTO?
A differenza di quanto accade con i fondi comuni, sui rendimenti delle gestioni patrimoniali non c’è mai stata visibilità. Se dietro alle performance delle gestioni patrimoniali ci sia molto fumo è poco arrosto è difficile dirlo.
Il rapporto è individuale, tra investitori tipicamente benestanti da una parte e i gestori “private” di banche, Sgr e Sim dall’altra. Il che crea notevole incertezza per chi crede che sia possibile selezionare i gestori sulla base delle performance passate. Mentre sui fondi è possibile avere dati abbondanti su come si sono comportati fino a oggi i singoli intermediari e professionisti con i portafogli a loro affidati, la stessa cosa non si può fare con i gestori individuali.
In conclusione le gestioni patrimoniali non ci sembrano un prodotto né da esaltare, né da demonizzare. Come tutti i prodotti finanziari la convenienza dipende da vari fattori che vanno considerati: il costo, il tipo di gestione sottostante e il confronto con l’andamento del mercato. Il parere di un consulente indipendente prima di sottoscriverle può aiutare a chiarire questi aspetti.
Il prodotto ha molti lati positivi per i risparmiatori che non vogliono ricorrere al fai da te e vogliono una gestione potenzialmente più flessibile e ampia. Tutti i gestori patrimoniali dicono questo sulla carta ma nella realtà pochi lo fanno. Ed è un peccato. Il mercato finanziario sta evolvendo e speriamo che anche su questo fronte la concorrenza e il merito spingano le varie società a fare non solo marketing ma invece investano su questi prodotti non tanto solo per renderli remunerativi per le reti di vendita ma anche per i propri clienti.