Private equity: le 10 cose che devi sapere prima di investire

Per chi sta valutando un servizio di private equity, significato e caratteristiche specifiche di questa forma di investimento dovrebbero essere chiari. In realtà rischi, “trucchetti” dei venditori e ambiguità in questo settore non mancano. L’analisi di SoldiExpert ti aiuta a conoscerli per scegliere con consapevolezza

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Negli ultimi anni, a coloro che cercano rendimenti al di sopra della media viene proposto il private equity. E’ una buona opportunità investire sui mercati cosiddetti privati? Ecco le 10 cose che devi sapere prima di investire.

 

 

PRIVATE equity: cos’e’?

 

 

Vediamo quindi un po’ di capire meglio cos’è il private equity e come funziona. Il private equity è una forma di investimento in cui i capitali di una moltitudine di investitori vengono raccolti da investitori istituzionali per acquisire partecipazioni in imprese non quotate in Borsa.

Già da alcuni decenni, il private equity è divenuto molto popolare soprattutto tra gli investitori istituzionali come i fondi pensione, i fondi sovrani e le compagnie assicurative. Tuttavia, da qualche anno anche gli investitori privati possono partecipare a questi fondi private, sebbene di solito richiedano un investimento minimo piuttosto elevato.

Poiché l’investimento in private equity si propone l’obiettivo di mettere i propri capitali in società non quotate, questo comporta  maggiori rischi, anche se lo scopo è proprio quello di ottenere maggiori rendimenti nel lungo termine. Cosa, quest’ultima assolutamente tutta da dimostrare e che può variare molto da caso a caso. Non è raro perdere una buona fetta di quanto investito.

Se però non è sicuro l’esito finale per l’investitore, il trend della “democratizzazione” di questo investimento, un tempo appannaggio solo dei più ricchi, è però un lucroso business per le società che operano nel private equity che sono pagate profumatamente per proporre le operazioni, valutare le prospettive di business e raccogliere fondi.

 

 

private equity significato e cose da sapere

 

La prima cosa da sapere è che il private equity non è adatto a tutti gli investitori, perché spesso l’impegno finanziario dura generalmente dai cinque ai dieci anni. Questi investimenti sono quindi sostanzialmente illiquidi e quasi mai è possibile uscirne anticipatamente. Inoltre non è detto che alla scadenza sia possibile liquidare facilmente tutte le posizioni detenute e acquisite dal veicolo finanziario.

Vi si accede attraverso società specializzate e fondi di investimento ad hoc che investono in aziende e società non quotate in Borsa. Trattandosi di società non quotate, gli strumenti per valutarne la qualità del business sono meno accurati e trasparenti. Questo significa che la valutazione dell’investimento in private equity è meno trasparente e più soggettiva e richiede molta attenzione e fiducia totale nel gestore. Quasi come firmare una delega in bianco.

Spesso questi veicoli di investimento sono attivi in settori specifici. Per questo, prima di investire in un fondo di private equity è importante studiare il settore in cui è attivo per valutare quali ne siano le prospettive di sviluppo.

 

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Un altro elemento da tenere ben presente è che i fondi di private equity hanno costi elevati e non tutti quantificabili ex ante poiché i gestori addebitano spese di gestione e di performance che possono essere più alte della media.

 

 private EQUITY in calo in Italia

 

Secondo gli ultimi dati disponibili nel 2023 il private equity in Italia non se la passa troppo bene. Il quadro attuale è ben sintetizzato dal grafico sotto riportato e tratto da una presentazione presente sul sito di Aifi, l’Associazione Italiana del Private Equity, Venture Capital e Private Debt.

Le società attive in Italia nel private equity, infatti, nei primi sei mesi dell’anno hanno visto calare vistosamente l’ammontare investito, a fronte invece di una sostanziale tenuta del numero di operazioni. Vedremo poi se ci sarà un recupero nel secondo semestre, anche se il livello elevato dei tassi e una situazione economica non proprio brillante non depongono a favore. C’è da dire che da quando i rendimenti dei mercati obbligazionari sono risaliti a livelli interessanti, la ricerca di una fonte alternativa di rendimento si riduce.

 

evoluzione del private equity secondo dati AIFI-PWC

 

raccolta private equity in calo nel mondo

 

L’andamento visto per l’Italia è confermato anche a livello internazionale, dove la flessione, secondo gli ultimi dati riportati è ancora più accentuata.

Secondo i dati riportati da SP Global che fotografano la situazione mondiale a fine ottobre 2023, il numero di raccolte iniziali di fondi di private equity e venture capital è al momento attuale pari a poco più della metà di quelle del 2022. Di più, non solo è crollato il numero di operazioni (che in gergo si definiscono “deal”), ma anche il controvalore totale delle transazioni effettuate è sceso per ora del 55% passando dai 29 miliardi $ agli attuali 13 miliardi $.

 

 

Quanto accennato in merito al rialzo dei rendimenti in Italia è forse ancora più valido a livello internazionale. Visto che la maggior parte delle grandi operazioni a livello di controvalore è concentrata negli Usa, è lampante che laddove i rendimenti dei bonds tornino stabilmente attraenti,  la domanda di investimento in private equity si riduce.

 

 

Private equity E STATO DELl’ARTE, I DUBBI DEL FINANCIAL TIMES

 

A metà gennaio 2024 il quotidiano finanziario Financial Times ha evidenziato diversi problemi sullo sfondo di questo mercato. In particolare si è osservato un calo netto delle vendite di società in portafoglio da parte dei gruppi di private equity, principalmente a causa dell’incremento dei tassi di interesse, che ha reso più difficile ottenere finanziamenti e ha influenzato negativamente le valutazioni.

I risparmiatori finali che hanno acquisito quote di fondi di private equity magari non se sono resi conto sul valore della quota ma la forte discesa delle quotazioni e dei multipli negli ultimi anni e in particolare nel 2022 (tranne in settori come il tech “spinto” fortemente risalito) ha visto le valutazioni di società finite dentro fondi di private equity scendere anche fortemente rispetto ai prezzi di acquisizione di alcuni anni fa.

Secondo l’articolo deli Financial Times questo ha generato una disconnessione tra le aspettative di valutazione tra acquirenti e venditori, portando a un senso di pragmatismo. Le aziende hanno accumulato un “imponente arretrato” di potenziali vendite, con un record di 2,8 trilioni di dollari di investimenti all’inizio del nuovo anno.

Tuttavia, la raccolta di fondi nel settore del private equity ha registrato minimi degli ultimi sei anni, aggravando la situazione per le aziende. Ci sono naturalmente alcuni gruppi di private equity sono in una posizione favorevole, avendo liquidità disponibile per nuovi investimenti in un contesto di minor concorrenza e valutazioni più ridotte.

E si prevede in questa analisi che i fondi che iniziano nuovi investimenti potrebbero trarre beneficio da questa situazione. Chi è entrato nel private equity fra il 2020 e il 2022 potrebbe quindi non essere entrato ai prezzi migliori ma per saperlo dovrà attendere a lungo visto questo tipo di fondi che impediscono di uscire liberamente con un “lock up” di diversi anni (salvo eventuali proroghe se ci sono dei problemi nel vendere tutte le partecipazioni).

Ed è questa una delle ragioni per cui società di consulenza finanziaria indipendenti come SoldiExpert SCF sconsigliano agli investitori, piccoli e grandi, di investire su questi prodotti. Venduti spesso con troppo ottimismo (non disinteressato) per le “magnifiche sorti e progressive”. Complessivamente anche l’articolo del Financial Times presenta un tono misto, con segnali di opportunità in un contesto di minor concorrenza, ma anche sfide legate a prezzi più bassi, pressioni sugli investimenti e una diminuzione della raccolta di fondi nel settore del private equity.

 

Private equity : come funziona con i fondi

 

Una delle modalità attraverso cui accedere al rutilante mondo dell’investimento in private equity è quello di passare dai fondi (ma è possibile arrivarci anche attraverso indirettamente gli ETF, come vedremo).

Ma partiamo dai fondi, convengono? Se fossero ben gestiti e avessero costi accettabili, forse sì. Tuttavia, troppo spesso nel private equity gli elevatissimi costi applicati ai clienti li rendono poco appetibili. Lo dimostra, per esempio, un’analisi di SoldiExpert sul fondo Azimut Demos (così chiamato perché avrebbe dovuto democratizzare l’accesso a questo tipo di investimento).

Ebbene, in otto anni, a fronte di una fee d’ingresso dell’1% e di “costi ricorrenti” annuali pari a 2,84%, un investimento di 10.000 euro potrebbe lasciare nelle tasche della società di gestione del fondo dai 2.370 ai 7.284 euro di sole commissioni. Nel passato in Italia peraltro il private equity “popolare” era stato già proposto con la quotazione in un segmento della Borsa italiana dei fondi chiusi di private equity. Come è andata veramente? Lo abbiamo scritto qui alcuni anni fa e vi consigliamo di rileggerlo attentamente.

 

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Diversi fondi hanno addirittura chiuso i battenti. E quelli che hanno fatto grandi promesse, del tipo rendimenti del 9% all’anno o capitale protetto dalle oscillazioni del mercato o anche flussi periodici di interessi, è facile appurare che non potevano mantenere quelle promesse. In realtà raramente si sono anche solo avvicinati a quei risultati.

Altri strumenti poi sono fondi di fondi, cioè investono in fondi che a loro volta investono in bond o azioni di società non quotate. Come il Private Markets Insight Fund di Fideuram Alternative Investments che abbiamo analizzato tempo fa. 

Questo significa che oltre alle spese proprie del fondo di private equity, al cliente vengono addebitati anche quelle dei fondi in cui investe il fondo. Quindi sono doppiamente costosi.

 

 

Private equity funds, tanto fumo e poco arrosto

 

Chi conosce bene i fondi che si occupano di private equity insomma, li guarda con ragionevole distacco e li prende in considerazione per percentuali omeopatiche del patrimonio solo per investitori con profilo di rischio molto elevato e di larghe disponibilità patrimoniali.

Secondo Ruchir Sharma, responsabile delle attività internazionali di Rockefeller Capital Management “in cambio della promessa di rendimenti superiori, i private equity funds bloccano il denaro dei clienti per dieci anni”.  Anzi da un certo punto di vista  “con le perdite che si diffondono rapidamente tra le diverse asset class, i canali private sono diventati un modo per i gestori di denaro di nascondere le perdite ai clienti”.

Sharma conferma che le valutazioni alla base del valore comunicato dei fondi di private equity spesso non si basano sui prezzi di mercato ma su stime approssimative da parte di consulenti privati di quanto varranno tra anni le società in portafoglio.

Sempre dalle pagine del Financial Times (26 settembre 2022), Mikkel Svenstrup, responsabile investimenti del grande fondo danese ATP, ha avvertito che nel settore del private equity  i gruppi che investono nel settore vendono sempre più società a se stessi e ad altri gruppi omologhi. Questo è l’inizio, potenzialmente, di uno schema piramidale. Una conferma ci viene anche dalla ricerca AIFI già sopra citata, secondo cui in Italia cui il 47% dei disinvestimenti avviene per vendita ad altro operatore di private equity.

Per molti esperti, quindi i fondi che investono sul private equity funds  sono tanto fumo e poco arrosto. Fumo immerso nella nebbia. E tanti rischi.

 

Private equity ed ETF, rischio sì ma a costi ridotti

 

Come abbiamo anticipato, investire nel private equity, ovvero in società non quotate attraverso un fondo specializzato, può comportare dei costi piuttosto alti, più o meno trasparenti. Tali da spingere gli investitori a riflettere se non sia il caso di valutare altri strumenti di investimento.

Tra le alternative si possono prendere in considerazione gli ETF, grazie ai quali si acquista un prodotto certamente con rischi elevati, ma per lo meno a costi ridotti.  Cosa significa? Che questi ETF sono investiti nel settore tramite le principali società mondiali quotate che lanciano e gestiscono questi “veicoli” (Apollo Global Management, Partners Group, KKR Group, Blackstone, 3I Group..) e certamente incorporano il rischio di questo business ma con un vantaggio non indifferente: essendo veicoli quotati sono scambiati in Borsa e se il settore va bene queste società ne beneficeranno e la diversificazione è massima.

Se proprio si vuole investire in questo comparto inoltre gli ETF di private equity  eliminano tutti quei costi impliciti o poco trasparenti che chi vende fondi non quotati fa ricadere sui clienti.

Gli ETF offrono anche la possibilità di svincolo molto rapida, nonché quella di investire capitali anche minimi. Essendo infatti  quotati in borsa, possono essere negoziati quando si ha necessità di farlo, mentre la differenza di costo tra un ETF e un fondo della stessa categoria e dello stesso settore può arrivare all’80-90% in meno

Quotati alla borsa italiana, per esempio, ci sono degli Ishares e anche un Xtrackers, con costi di gestione annui inferiori all’1%.

 

La guida per investire con gli ETF La guida per investire con gli ETF

 

 

Private equity, performance tutte da valutare

 

Sottoscrivere un fondo di private equity che investe su aziende e società non quotate prevede un elevato grado di complessità, soprattutto quando si tratta di valutarne le performance.

Innanzi tutto perché non si tratta più di investire in una singola impresa, ma solitamente in un paniere, più o meno omogeneo. Quindi il rendimento complessivo dipenderà sia dalle performance del paniere, sia dalla capacità dei gestori del fondo di selezionarlo, gestirlo, scegliere il timing di entrata ed uscita e così via.

Se poi si investe in fondi comuni che a loro volta investono in fondi di private equity, ciò aumenta i costi.  Rende sicuramente più agevole l’entrata ma molto più difficile valutare le performance di questo “sandwich a tre strati”.

Per il private equity, performance tutte da valutare con grande attenzione le fornisce, per esempio, lo studio del 2022 (dati relativi al 2021) AIFI-KPMG. Lo studio, che analizza il rapporto private equity-performance, utilizza un indicatore complesso, l’IRR (Internal Rate of Return). Secondo questa analisi, i 50 investimenti in private equity “chiusi” nel 2021 (per una media di 13,7 milioni a operazione) hanno reso complessivamente il 19,2%, in deciso calo rispetto al 2020.
Per quanto riguarda invece le performance a 3, 5 e 10 anni, chiuse e aperte, i risultati sono stati rispettivamente del 13,1%, dell’11,0% e del 16,1%.

 

considerazioni e opinioni sul private equity

 

Tutti i risultati in termini di rendimento sono da prendere con le pinze perché le transazioni sono avvenute prevalentemente con meccanismi di scambio delle società da un fondo all’altro, si concentrano sulle operazioni chiuse e non rappresentano il risultato finale dell’investimento. Ci sono fondi di private equity che nonostante le promesse fatte ai clienti di rendimenti fuori mercato si sono rivelati delle grandi delusioni.

Se proprio siete interessati a valutare un investimento di questo tipo, soprattutto se proposto da una banca di cui siete cliente, cercate di approfondire i punti chiave di cui abbiamo parlato sopra.

Per avere un parere terzo esperto e totalmente indipendente in merito alla rischiosità e ai costi vi suggeriamo di rivolgervi a un consulente indipendente come noi di SoldiExpert SCF che, nella nostra ampia gamma di servizi, offriamo anche consulenze una tantum per analizzare a approfondire con attenzione tutta la documentazione pre-contrattuale corredata del preventivo dettagliato dei costi (ex ante) stimati sia una tantum sia ricorrrenti.

 

 

Salvatore Gaziano

Responsabile Strategie di Investimento di SoldiExpert SCF

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Marco Cini

Esperto di pianificazione finanziara e previdenziale

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