Lo scudo fiscale è uno strumento utilizzato in passato dai governi allo scopo di far rientrare in Italia capitali precedentemente detenuti all’estero. Insieme ad altre forme di regolarizzazione tributaria, prevede dunque sanzioni limitate e l’esenzione di eventuali conseguenze penali per gli illeciti commessi.
lo scudo fiscale: significato e scopo
Lo scudo fiscale è una tipologia di regolarizzazione in materia tributaria e penale simile a un condono. In pratica, inibisce l’azione penale e l’accertamento tributario per alcune tipologie di illeciti tributari e penali. Il principale obbiettivo dello scudo fiscale è quello di regolarizzazione situazioni finanziarie complesse e favorire il rientro di capitali nel paese, in funzione di immediati vantaggi in termini erariali e di futuri benefici in termini di spesa e di investimento.
Lo strumento dello scudo fiscale è però molto controverso perché, se da un lato conduce a inequivocabili vantaggi concreti, dall’altro potrebbe apparire poco etico perché solleva questioni relative all’equità sociale nonché all’etica, alla trasparenza e all’assolvimento del comportamento illecito.
Tralasciando però questioni ideologiche e morali e guardando la questione da un punto di vista puramente pratico, lo scudo fiscale rappresenta, nel momento in cui viene varato, un concreto supporto al rientro legalizzato dei capitali che potranno in futuro supportare crescita e investimenti nell’economia del paese.
l’ ultimo scudo fiscale in Italia del 2009
Nonostante lo scudo fiscale del 2009 sia il più noto, già in precedenza nei primi anni 2000, ed esattamente nel 2001 e nel 2002 l’allora ministro del Tesoro Giulio Tremonti varò due provvedimenti che complessivamente fecero emergere capitali per oltre 73 miliardi €.
Nel 2009, il governo Berlusconi IV riaprì i termini per usufruire dello scudo fiscale, noto anche come scudo fiscale Ter, allo scopo di favorire il rimpatrio e/o la regolarizzazione delle attività finanziarie e patrimoniali detenute all’estero illegalmente fino al 31 dicembre 2008.
I contribuenti interessati avrebbero potuto regolarizzare le loro attività pagando una somma pari al 5% a titolo di imposte, interessi e sanzioni. Oltre a ciò era ovviamente previsto il pagamento delle imposte sui redditi relativi alle attività scudate prodotti nel periodo compreso tra il 1º gennaio 2009 fino alla presentazione della dichiarazione da completarsi obbligatoriamente entro il 15 dicembre 2009.
Nel grafico sottostante, che abbiamo tratto da un articolo pubblicato dal quotidiano La voce, sono rappresentate le stime di rientro dei capitali effettivi confrontati con quelli rientrati invece successivamente con la “Voluntary disclosure” del 2015 attuata dal governo Renzi, di cui abbiamo ampiamente trattato in questa nostra analisi.
La tabella è stata elaborata in base a dati forniti dall’Agenzia delle Entrate e dalla Banca d’Italia.
dalla Svizzera il maggior rientro delle somme tramite scudo fiscale
Sempre scorrendo la tabella soprastante relativa al totale delle attività rientrate in Italia, non si può fare a meno di notare che la parte del leone in tema di rientro dei capitali da scudo fiscale è quella giocata dalla Svizzera. La confederazione elvetica infatti è il paese che storicamente ha rappresentato per i cittadini italiani più facoltosi una cassaforte sicura cui rivolgersi per svariati motivi, tra i quali quello di poter beneficiare di un totale anonimato e quello di detenere parte dei propri capitali in un paese giudicato più solido e sicuro rispetto all’Italia.
Questo è senz’altro vero in passato mentre oggi non è più così. Da quasi dieci anni, ovvero dal febbraio 2015, la Svizzera ha introdotto lo scambio di informazioni in via bilaterale con il nostro paese e questo ha di fatto reso il paese equiparabile ad uno stato White list, ovvero uno stato pienamente collaborativo in merito alle informazioni finanziarie e fiscali. Detenere oggi i soldi in un conto di una banca svizzera è perfettamente legale e trasparente attraverso la reciproche informazioni e la compilazione del quadro RW.
scudo fiscale e anonimato
Come abbiamo precedentemente detto, la somma totale che occorreva versare allo Stato per usufruire dello scudo fiscale e la regolarizzazione dei capitali detenuti all’estero era pari al 5%, una percentuale molto bassa, scelta appositamente per permettere il massimo possibile. Non bisogna dimenticare infatti che una volta rientrati, questi capitali circolano all’interno del sistema produttivo o di consumo, con un apporto positivo sia all’economia del paese sia all’erario.
Il 5% è senza dubbio una cifra complessivamente irrisoria per poter far rientrare i propri capitali, ma sicuramente anche un secondo fattore ha giocato un ruolo molto importante. Il fatto che lo scudo fiscale del 2009 infatti prevedesse l’anonimato dei cittadini che ne usufruiscono è stato un ulteriore incentivo al suo utilizzo. Riuscire a mantenere la propria riservatezza e non sembrare un evasore fiscale, eticamente poco edificante, può rappresentare una caratteristica rilevante e determinarne il discreto successo. In poco meno di un anno infatti rientrarono nel paese oltre 85 miliardi €, una somma che da sola equivale a diverse manovre finanziarie.
Quale anno dopo invece, la Voluntary disclosure del 2015 promossa dal governo Renzi fu caratterizzata da procedure totalmente trasparenti, non caratterizzate da alcun tipo di anonimato.
scudo fiscale: e chi non ha partecipato?
Come accennavamo poco sopra, lo scudo fiscale ter del 2009 era già il terzo nel giro di pochi anni. Per questa ragione prende il nome proprio dal fatto che in meno di un decennio il nostro paese, a caccia di soldi, ne ha sfornati due a raffica (2001 e 2002) e un terzo appunto dopo poco più di un lustro. Un articolo della nota agenzia Reuters, quasi un reperto storico, è ancora reperibile sul web e ne ripercorre alcune caratteristiche e numeri.
Insomma c’è stato un momento in cui gli scudi fiscali sembravano essere un po’ all’ordine del giorno e, nonostante le aliquote per sanare le posizioni illegalmente detenute fuori dal paese fossero crescenti, (2,5% nel 2001, 4% nel 2002 e 5% nel 2009), il sentire comune era quello per cui ogni qualche anno si sarebbe sempre ricorsi a questa forma di condono degli irregolari, tanto utile a reperire milioni € necessari.
Ma così non è stato e il 2009 è stato realmente l’ultimo condono, o per lo meno l’ultimo che garantisse costi e sanzioni molto contenuti e soprattutto totale riservatezza.
Quindi chi ha aspettato e non ha partecipato allo scudo fiscale del 2009, si è successivamente trovato un’alternativa sicuramente meno attraente sulla quale decidere: lo voluntary disclosure del 2015.
opinioni: scudo fiscale e rientro dei capitali
Nell’ultimo decennio si sono moltiplicati gli accordi di collaborazione tra stati in diverse parti del mondo, nonché tra authorities grazie ad uno scambio automatico di informazioni sempre più frequente e strutturato. Oggi risulta piuttosto complesso dunque detenere capitali all’estero in modo non trasparente. Soprattutto risulta difficile utilizzare questi capitali che rimangono non veicolabili su intermediari tradizionali in via trasparente.
Al momento in cui scriviamo infatti non sono attive procedure di facilitazione particolari ma appare chiaro che per poter beneficiare di questi patrimoni in modo chiaro e trasparente, occorre sanare le proprie posizioni avvalendosi di studi tributari e legali. Le misure attraverso le quali procedere ad effettuare questa regolarizzazione sono oggi quelle messe a disposizione dallo Stato che non sono immediate ma passano comunque attraverso ravvedimenti operosi e sanzioni amministrative pecuniarie.
Del resto, nel contesto attuale ipotizzare che le autorità possano riproporre una qualche forma di scudo fiscale, così come quelle degli anni 2000, sembra alquanto remota.
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