Donne e finanza: non delegare, puoi occuparti dei tuoi investimenti

Tra donne e finanza spesso c’è poco feeling ma è ora di cambiare. Single, mogli, madri, figlie: questo articolo è per voi perché curare i propri interessi non è (solo) roba da maschi

MoneyReport, il blog di SoldiExpert SCF

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Una volta chiesero all’attrice Ingrid Bergman “Cos’è che la rende una donna così indipendente, coraggiosa, assertiva?”. Lei rispose in modo lapidario “I soldi”. Questa battuta la devo ricordare a mia mamma, grande sostenitrice dell’emancipazione femminile che in un unico campo è rimasta come molte italiane della sua età un passo indietro rispetto a papà: la gestione delle finanze.

 

Donne e finanza: poco feeling per gli investimenti

 

Per la generazione delle “nonne” occuparsi del patrimonio di famiglia spetta al marito. La finanza (intesa come investimento in strumenti finanziari) per loro spesso un senso non ce l’ha. Chi decide come investire i soldi in famiglia è spesso l’uomo.

 

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Tra donne e finanza spesso c’è poco feeling: la finanza non suscita nelle donne particolare interesse e molte di loro quando si tratta di occuparsi delle loro finanze si sentono inadeguate e impreparate a farlo. Una condizione di sudditanza e di soggezione psicologica verso il denaro che a mio parere dovrebbe essere superata. Per due motivi: le donne vivono di più degli uomini e spesso le loro pensioni sono più modeste. La pensione più robusta è spesso quella del coniuge maschio visto che anche oggi le donne che lavorano in Italia sono meno degli uomini e i loro compensi sono mediamente inferiori. E quando rimarranno sole, avranno non solo meno soldi a disposizione, venendo a mancare in parte la pensione del marito, ma soprattutto saranno completamente impreparate a occuparsi delle proprie finanze.

 

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Una miscela esplosiva quella di donne e finanza e investimenti: meno soldi e meno capacità di gestirli e farli fruttare. E sappiamo bene quanto il sistema finanziario sia pronto a sfruttare l’ignoranza in materia di investimenti di larghe fasce della popolazione italiana. Le donne rischiano di essere le nuove vittime sacrificali di un sistema bancario e distributivo di prodotti finanziari concepito molto spesso per aumentare i guadagni degli istituti di credito e delle reti di vendita a scapito delle necessità finanziarie dei singoli.

Del resto sulla inadeguatezza e riluttanza delle donne a occuparsi di finanza non c’è da stupirsi. A conti fatti sono solo meno di quarant’anni che in Italia abbiamo anche noi il diritto di avere delle finanze di cui occuparci.

 

Nell’Ottocento noi donne eravamo quattro niente

 

La condizione femminile della donna nell’Ottocento impressa nella mia memoria è quella di un’opera di Louise Bourgeois, artista scomparsa da pochi anni e intitolata “Maman”. Un’opera in ferro di dimensioni gigantesche (più di due piani) in cui delle grosse zampe nere di un ragno comunicano un senso di grande oppressione verso la condizione femminile costretta e imprigionata entro rigidi schemi per secoli.

Basti pensare alla condizione della donna nell’Ottocento: niente istruzione, niente professione, niente soldi, niente diritti. Quattro niente. Non potevano nemmeno scegliere dove vivere se eravamo sposate. I figli non erano delle madri ma dei mariti, infatti c’era la patria potestà. Guadagnarsi da vivere per le donne sposate era lecito ma i soldi andavano al marito.

Una donna non poteva divorziare. Quindi se lasciava il tetto coniugale perdeva tutto: proprietà, figli e il diritto di mantenersi visto che quello che guadagnava era del coniuge. Nell’Ottocento per le donne maritate (la maggioranza perché sappiamo quanto fosse sconveniente essere zitelle) occuparsi del proprio patrimonio era di fatto vietato. Ci voleva l’autorizzazione maritale per “alienare beni immobili, sottoporli ad ipoteca, contrarre mutui, cedere o riscuotere capitali, costituirsi sicurtà, transigere o stare in giudizio relativamente a tali atti “. Introdotta nel Codice Civile nel 1865 l’autorizzazione maritale fu in vigore fino al 1919. Costruire da sé un proprio patrimonio era per le donne dell’Ottocento praticamente impossibile.

 

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900 Emancipazione anche economica delle donne

 

L’accesso all’università e alle professioni da parte delle donne fu a lungo osteggiato. Alla fine dell’Ottocento in Italia le prime donne medico non potevano lavorare negli ospedali pubblici ma solo in studi privati e potevano curare solo donne e bambini. Potevano diventare pediatre ma non chirurgo. E quando esercitavano la professione, un alone di sfiducia e dubbio accompagnava il loro lavoro.

Agli inizi del 900 ldina Francolini, laureata in medicina, raccontava di aver dovuto affrontare tra i pazienti “una contrarietà strana, una riluttanza inesplicabile, una sfiducia direi quasi insultante” e tra i colleghi uomini “ostacoli in tutti i modi, con tutti i mezzi più o meno leali e dignitosi”. In tutte le professioni l’ostilità era tanta. Dove vi erano i lavori meglio pagati le donne incontravano difficoltà a svolgere la professione.

 

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Alla prima donna avvocato Lidia Poet fu consentita l’iscrizione all’albo ma fu impedito dal Tribunale di esercitare in quanto “la professione forense deve essere qualificata come un ufficio pubblico e come tale l’accesso è per legge vietato alle donne”. Solo negli anni Trenta le donne poterono iscriversi all’albo dei notai. Solo dal 1961 le donne possono accedere a tutti i pubblici uffici e solo nel 1975 il nuovo Diritto di Famiglia sancisce l’uguaglianza economica delle donne e degli uomini.

 

donne e finanza: l’importanza di curare i propri interessi

 

Nonostante la legge abbia sancito l’uguaglianza anche economica tra i sessi da più di quarant’anni, in Italia sono ancora i maschi a procurare la maggior parte del reddito familiare. E siccome in Italia le donne casalinghe che quindi non guadagnano denaro sono ancora numerose, e quando lavorano entrambi, i mariti mediamente guadagnano di più, molte donne sul fronte degli investimenti finanziari tendono un po’ come mia mamma “a scantonare”, dando carta bianca al coniuge.

Alcuni libri in materia sostengono che tra donne e finanza e denaro c’è una sorta di “buco nero psicologico” per cui le donne considerano occuparsi del proprio patrimonio qualcosa di “altro da sé”. Molte donne si spendono e si spandono per tutti: amici, conoscenti, mariti, parenti, ma trascurano una parte non certo trascurabile della propria esistenza. I soldi.

 

Consulenza Una-tantum Consulenza Una-tantum

Le donne odiano gestire i propri soldi, li considerano un ostacolo alle relazioni secondo la guru della finanza personale d’oltreoceano Suzie Orman. Se non se li sono guadagnati delegano totalmente la loro gestione al marito.

donne e finanza: ti conviene occuparti del tuoi investimenti

 

Maria Laura Rodotà ha scritto su Io Donna un articolo che già nel titolo diceva tutto “Ragazze i soldi non servono per le borsette ma per la libertà”. Molte donne, anche quelle di maggior successo nella vita professionale, all’argomento soldi “si fanno piccole” dice la giornalista. “E si riducono in condizioni estreme, che tante donne meno superdonne hanno imparato a evitare” argomenta la Rodotà nell’articolo e “trovano infiniti modi per mantenere condizioni di femminea dipendenza: che a loro fa comodo, le rassicura”.

Bisognerebbe avere il coraggio “di lasciarsi alle spalle le vecchie abitudini, le vecchie scuse e gli alibi stantii” invita la guru della finanza personale d’oltremanica, Suzie Orman nel libro Donne e Denaro “per diventare pienamente abili e capaci nella gestione della finanza personale”.

Lo conferma Paola Profeta docente di Scienza delle Finanze all’Università Bocconi: sul fronte finanziario le donne devono evolversi. “In un mondo – quello della finanza – rimasto forse l’ultimo baluardo nel quale si possa dire apertamente che le donne siano indietro – ha dichiarato la docente della Bocconi – emerge un grande bisogno di educazione finanziaria per la popolazione femminile. Si è mossa in questa direzione anche l’Ocse, con un team di esperti che si occupano di comprendere le ragioni e le implicazioni della scarsa alfabetizzazione finanziaria e che programmano interventi mirati. Perché essere meno capaci da un punto di vista finanziario significa contribuire poco allo sviluppo economico di un paese”.

 

Finanza in famiglia: ecco chi comanda

 

Secondo una ricerca di Episteme per la compagnia di Assicurazioni Axa la ”la gestione delle entrate in famiglia è ancora prevalentemente delegata all’uomo; è lui a gestire i rapporti con il mondo finanziario e gli investimenti (38% contro il 19% di donne)”.

 

Investimenti_Donne

 

E questo è un vero peccato perché l’unione dei due generi su argomenti tanto importanti genererebbe certo qualche scontro in più, ma sarebbe un beneficio per la crescita del patrimonio. Lo vedo anch’io nel mio lavoro di consulente finanziario indipendente: se l’uomo tende a essere (estremizzando) sbilanciato sul fronte del rischio (la richiesta è “faccia crescere il mio patrimonio”) la donna ne è talmente avversa da precludersi delle opportunità di investimento (la richiesta è “ne abbia cura, lo conservi”).

Ovviamente tra la richiesta maschile di spingere il più possibile sull’acceleratore per non perdere nessuna opportunità e quella femminile di optare per investimenti totalmente “free risk”, c’è un mare di opportunità intermedie che una coppia potrebbe prendere in considerazione riequilibrando il proprio opposto atteggiamento mentale.

Mi è capitato nel corso di un colloquio con una coppia di investitori di sentire due opposti commenti riguardo a obbligazioni di una banca italiana poi salvata dallo stato con i soldi dei contribuenti, che negli ultimi 4 anni stavano ancora come valore al prezzo di carico sentire dalla moglie il seguente commento “Meno male non abbiamo perso niente” dal marito “Ma come in quattro anni non hanno reso niente!”. Lui ovviamente voleva fare azionario lei solo obbligazionario. Lui aveva paura di perdere delle opportunità, lei di perdere soldi. C’è verità in entrambi i punti di vista per questo sarebbe importante ragionare di fronte a entrambi i coniugi di queste questioni.

Le donne fanno dell’avversione al rischio una bandiera spesso penalizzante: non si investe per conservare quello che si ha ma per farlo crescere. L’investimento è gestione del rischio e non la sua eliminazione a meno di non volersi far raccontare delle favole. Gli uomini di contro sono sempre sulla logica del confronto spesso avulso dal contesto “quell’altra cosa ha reso di più” confrontando spesso mele con pere e con la malefica e perdente logica del “senno di poi”.

In finanza l’unione tra maschi e femmine farebbe la forza se le donne come mi sono spesso sentita dire non si escludessero subito fuori dalla partita. “Finanza? Ma per carità” me lo sono sentita dire troppe volte quando dicevo che lavoro facevo. Occuparmi di soldi e investimenti.

 

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La finanza può sembrare difficile ma non è certo incomprensibile per chi voglia imparare a far rendere il proprio patrimonio. Tante donne hanno lottato perché avessimo il diritto di studiare, svolgere professioni prestigiose e remunerative, guadagnare denaro e avere il diritto di amministrarlo e investirlo. Oggi che abbiamo questo diritto, è un dovere esercitarlo. I soldi sono importanti. Lo ha capito perfettamente Ingrid Bergman un sacco di anni fa. E non stava recitando.

Salvatore Gaziano

Responsabile Strategie di Investimento di SoldiExpert SCF

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